LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?
Seconda parte
“Anche
questa settimana sono stato nervoso e il bello è che me ne rendo conto ma è
come se dentro avessi una forza che non riesco a controllare” si rammarica
Riccardo, “Ho mandato affanc, ci siamo
capiti, la prof di diritto… lo so che non si fa ma quella se lo merita, ce l’ha
sempre avuta con me. E come se non bastasse ho preso Mengo, un mio compagno di
classe, per il colletto e l’ho sbattuto al muro solo perché non mi voleva dare
un pezzo del suo panino. Risultato: due giorni di sospensione”.
“Quindi
continui a sentire questa rabbia che non riesci a gestire” gli dico.
“Forse
inizio a capire qualcosa…” rimane in sospeso un paio di secondi, “E credo che
c’entri con quello lì”.
“Con
tuo papà, vero?”.
Riccardo
sospira e comincia a torturarsi le unghie, “E’ come se da quando vengo qui
avessi tirato via il coperchio e ora non riesco a controllare più né i pensieri né le emozioni. E ti giuro che quando ho deciso di venire da te
per buttare fuori tutta questa rabbia che sentivo qua dentro” e mi indica il
petto, “non pensavo che fosse legata a quello
lì, credevo c’entrasse qualcosa con l’adolescenza e gli ormoni”.
“Quindi
stai iniziando a collegare il tuo nervosismo incontrollabile alla situazione
con papà?”.
Ora
Riccardo, oltre alle unghie, comincia a mangiucchiarsi una pellicina sul labbro,
“Pensare che fino a pochi anni fa ero un angelo.
Sono sempre stato il più alto e prestante della classe e stavo sempre dalla
parte dei deboli. Non alzavo mai le mani, semplicemente mi mettevo nel mezzo e
allontanavo il prepotente”.
“Quindi
facevi un po’ il mediatore” specifico io.
“Il
mediatore! Proprio così” Riccardo sembra soddisfatto dell’appellativo, “E’ che sono
sempre stato abituato a esserlo, con i miei intendo. Dopo che si sono separati
ero io a fare da tramite e a cercare di calmare le acque… Ma non ci sono
riuscito”.
“Non
credo fosse tuo il compito di fare il mediatore, tu eri un bambino e il tuo
unico compito era di fare il bambino”.
“Eppure
mi sento in colpa”, Riccardo sbuffa e guarda il soffitto come se cercasse una
risposta dall’alto, “E’ che a pensarci bene mi sento un po’ responsabile per
tutta questa situazione, come se avessi fallito”.
“Riccardo,
credo che tu non abbia fallito in nulla, forse ti hanno dato dei compiti che non spettavano a te…”.
“Forse
io me li sono presi”, mi interrompe.
“Forse,
ma ricordati se ora ti trovi in questa situazione non è colpa tua” gli dico
calcando il tono sulle ultime parole.
Anche
la settimana prossima continueremo ad addentrarci nei vissuti di Riccardo. Stessa
storia, stesso posto, stesso blog.
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