lunedì 29 giugno 2015

Oggi nella consueta rubrica del lunedì siamo ancora in compagnia di Riccardo.

LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?

Seconda parte

“Anche questa settimana sono stato nervoso e il bello è che me ne rendo conto ma è come se dentro avessi una forza che non riesco a controllare” si rammarica Riccardo, “Ho mandato affanc, ci siamo capiti, la prof di diritto… lo so che non si fa ma quella se lo merita, ce l’ha sempre avuta con me. E come se non bastasse ho preso Mengo, un mio compagno di classe, per il colletto e l’ho sbattuto al muro solo perché non mi voleva dare un pezzo del suo panino. Risultato: due giorni di sospensione”.
“Quindi continui a sentire questa rabbia che non riesci a gestire” gli dico.
“Forse inizio a capire qualcosa…” rimane in sospeso un paio di secondi, “E credo che c’entri con quello lì”.
“Con tuo papà, vero?”.
Riccardo sospira e comincia a torturarsi le unghie, “E’ come se da quando vengo qui avessi tirato via il coperchio e ora non riesco a controllare più né i pensieri né le emozioni. E ti giuro che quando ho deciso di venire da te per buttare fuori tutta questa rabbia che sentivo qua dentro” e mi indica il petto, “non pensavo che fosse legata a quello lì, credevo c’entrasse qualcosa con l’adolescenza e gli ormoni”.
“Quindi stai iniziando a collegare il tuo nervosismo incontrollabile alla situazione con papà?”.
Ora Riccardo, oltre alle unghie, comincia a mangiucchiarsi una pellicina sul labbro, “Pensare che fino a pochi anni fa ero un angelo. Sono sempre stato il più alto e prestante della classe e stavo sempre dalla parte dei deboli. Non alzavo mai le mani, semplicemente mi mettevo nel mezzo e allontanavo il prepotente”.
“Quindi facevi un po’ il mediatore” specifico io.
“Il mediatore! Proprio così” Riccardo sembra soddisfatto dell’appellativo, “E’ che sono sempre stato abituato a esserlo, con i miei intendo. Dopo che si sono separati ero io a fare da tramite e a cercare di calmare le acque… Ma non ci sono riuscito”.
“Non credo fosse tuo il compito di fare il mediatore, tu eri un bambino e il tuo unico compito era di fare il bambino”.
“Eppure mi sento in colpa”, Riccardo sbuffa e guarda il soffitto come se cercasse una risposta dall’alto, “E’ che a pensarci bene mi sento un po’ responsabile per tutta questa situazione, come se avessi fallito”.
“Riccardo, credo che tu non abbia fallito in nulla, forse ti hanno dato dei compiti che non spettavano a te…”.
“Forse io me li sono presi”, mi interrompe.
“Forse, ma ricordati se ora ti trovi in questa situazione non è colpa tua” gli dico calcando il tono sulle ultime parole.

Anche la settimana prossima continueremo ad addentrarci nei vissuti di Riccardo. Stessa storia, stesso posto, stesso blog.

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