venerdì 8 aprile 2016

Eccoci prontissimi con la nostra rubrica del venerdì in compagnia di Jimmy Marconi, il Roberto Baggio di Borello.



CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI




Quando le telecamere di Sky lo inquadrano mi rendo conto che Jimmy Marconi non è poi cambiato un granché. Certo, ora ha due stempiature che sembrano le piste di atterraggio di Fiumicino e un bel faccione gonfio da antidepressivo triciclico. Però con quegli occhi celesti, il naso alla francese e la bocca carnosa per me rimane sempre e comunque l’Alain Delon del Bar Leo, anche se sono passati parecchi anni.
Che poi in realtà a Borello era conosciuto da tutti come Il Bomber.
Mi sembra di sentire ancora il rombo della sua Cagiva Mito che inchioda davanti al Bar Leo e lui che scende con una delle sue fighine, come chiamava quelle ragazze da sballo che si portava dietro.
E le fighine erano uno dei suoi chiodi fissi. Ogni volta che vedeva me e il mio gruppo di dodicenni segaioli spolettare tra flipper e biliardino ci chiedeva, Qualche fighina?, e noi sconsolati scuotevamo la testa e allora lui ci diceva, Non è che mi diventate froci?.
Ma il grande chiodo fisso del Bomber era il calcio. A dire il vero era un fenomeno e il suo grande sogno era di giocare nella Juventus. Gli anziani di Borello sentenziavano che un ragazzo così talentuoso in vita loro non l’avevano mai visto ed erano convinti che forse forse era più forte anche di Roberto Baggio. Vi assicuro che il sabato pomeriggio quando giocava Il Bomber le tribunette del campo sportivo erano gremite. Gli spettatori venivano anche da fuori per godersi questo ragazzo di diciassette anni, bello come Alain Delon, che deliziava la platea con colpi di tacco, rabone, sombreri e goal da cineteca.
Poi una domenica di settembre, era il lontano ’89, al Bar Leo eravamo tutti a bocca aperta di fronte a “Novantesimo minuto” mentre Baggio con la maglia della Fiorentina saltava come birilli i giocatori del Napoli fino a depositare il pallone in rete. Al termine del servizio Il Bomber prende la parola e promette di fronte all’intero parterre, Un giorno farò anch’io un goal così!
E l’occasione per mantenere quella promessa era arrivata durante la partita più importante della sua ancora breve carriera: la finale regionale Cesena – Borello. Non si era mai vista così tanta gente da queste parti come quel giorno, tra tifosi accalcati sulla tribunetta e attorno al campo, talent scout del Cesena e di altre squadre di serie A in giacca e cravatta, occhiali da sole a goccia e sigaretta in bocca. Il nostro Bomber sta giocando una partita meravigliosa e mancano una manciata di minuti al termine con il risultato inchiodato sul 2 a 2. Ecco che prende palla dalla propria area di rigore e scarta uno dopo l’altro i difensori avversari, di fronte ormai c’è solo il portiere e il nostro lo salta con un doppio passo da campione. Avrebbe segnato un goal storico se un difensore non fosse intervenuto in scivolata impedendogli di siglare la rete della vittoria ma soprattutto fratturandogli tibia e perone. Mi sembra di sentirle ancora le urla demoniache del Bomber tanto che qualcuno del pubblico proponeva di chiamare un esorcista ancor prima che un’ambulanza.
E da quel drammatico giorno Jimmy Marconi qui a Borello non si è più visto, si diceva che subito dopo il grave infortunio fosse sprofondato in una forte crisi depressiva e la famiglia si fosse trasferita in una città di mare.
Non si è più visto, almeno fino a oggi.
Infatti sto guardando su Sky Juventus – Cesena mentre un giocatore della Juve sta sistemando la sfera per battere una punizione. E’ proprio in quel momento che un tifoso a petto nudo e con la pancetta sfugge ai controlli, si presenta in campo, si impossessa della palla e scatta con un’eleganza da campione verso la porta difesa dall’estremo difensore del Cesena. Spuntano stewart e poliziotti da ogni dove ma lui li dribbla tutti e dribbla anche il portiere con un doppio passo che mi ricorda qualcuno e infine deposita la palla in rete. Non fa in tempo a esultare che le forze dell’ordine gli saltano addosso e lo riempiono di botte. La curva della Juve fischia contro i poliziotti, vorrebbe concedere il giusto tributo a quel tifoso così talentuoso e addirittura mi sembra di sentire un coro: Bom-ber Bom-ber!
Quando i cameramen lo inquadrano e i telecronisti gli danno del delinquente io invece vorrei ringraziare il nostro Bomber per i due insegnamenti che oggi mi ha regalato.
I sogni prima o poi si avverano, basta crederci.
C’è ancora chi mantiene le promesse.
Grazie Bomber!


lunedì 21 marzo 2016

Eccoci prontissimi con la rubrica del lunedì in compagnia di Lara.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


“Con lui mi sento bene, sono libera” mi dice Lara quasi imbarazzata mentre si arrotola i capelli intorno al dito.
“E’ una bella sensazione” e le sorrido.
“Grazie a lui io cambio qualcosa in me e grazie a me lui cambia qualcosa dentro se stesso”.
“State crescendo insieme”.
“Lui è l’unica
cosa bella della mia vita perché per il resto è tutto uno schifo, soprattutto qui a scuola…”.
“Ancora con quelle prese in giro?”.
“Peggio…” ora i capelli quasi se li strappa, “hanno cominciato a darmi della ragazza incinta perché sono ingrassata e dicono che la do a tutti. Mi chiamano la
Trozza perché sono una troia tozza. E poi è successo un fatto, allora non ce l’ho più fatta e sono scoppiata”.
“Te la senti di raccontarmelo?”.
Lara guarda in basso e comincia a pizzicarsi il dorso della mano.
“Mentre ero in bagno quei soliti tre compagni mi hanno frugato nella cartella dove avevo anche il ricambio per il giorno dopo visto che avrei dormito dal mio ragazzo. Quando sono tornata Dani si era messo il mio perizoma sulla testa e diceva,
questo non ti entra nemmeno in una coscia”, diventa rossa e so che le costa molto imbarazzo andare avanti.
Esita un attimo, fa un sospiro lunghissimo quindi prosegue “Allora gli ho urlato di ridarmelo e loro si sono messi a passarselo e ridevano come dei matti mentre io cercavo di recuperarlo. A un certo punto mi si è chiusa la vena, così ho sputato in faccia a quel bastardo di Dani. Allora lui mi ha detto che per me da quel momento sarebbe stato un inferno”.
“Hai raccontato a qualcuno l’episodio?”.
“No perché avevo paura che succedesse ancora di peggio del tipo che riprendessero a ridicolizzarmi sui social come l’anno scorso oppure che mi menassero proprio. Però ero davvero terrorizzata e non ce l’ho fatta più a tenermelo dentro, così ho deciso di parlarne con te. Anche se poi in fondo hanno ragione”.
“In che senso hanno ragione?”.
“Che sono brutta e grassa! Me lo dice sempre anche mia zia che se metto su ancora dei chili non mi vuole più nessuno”.
“Credo che sia arrivato il momento di dire
basta” intervengo deciso, “sei stata bravissima e coraggiosa a parlarne con me e ora occorre che questi episodi vengano segnalati. E non preoccuparti non succederà niente”.
“E se poi la situazione peggiora?”.
“Ti fidi di me?” e la guardo dritto negli occhi.
“Sì, altrimenti non sarei venuta qui visto che sono abituata a tenermi tutto dentro”.
“Ecco allora a partire da adesso faremo di tutto perché tu possa stare meglio sia fuori che dentro di te”.

venerdì 18 marzo 2016

Eccoci pronti con l'ultima attesissima puntata del breve racconto "Una partita infinita". Dopo la clamorosa e inattesa sconfitta contro la Bovina che cos'ha in mente Martina?


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Quinta (e ultima) puntata



Martina l’aveva giurato a se stessa, se perdo anche questa lo faccio.Come dice quella canzone di Grignani?, si chiese entrando nella Bmw di papà con i capelli ancora bagnati.  E vi saluto a tutti e salto su, prendo il treno e non ci penso più.
Tanto sono solo un’incapace e un fallimento, pensò.
E papà non perdeva mai occasione di farla sentire uno sbaglio, o meglio un
disastro, come diceva lui.
Tanto lo so che non mi voleva così, o forse che non mi voleva proprio.
Il signor Miege silenzioso come un monaco mise in moto la macchina e partì. Uno sguardo alla strada e uno all’iphone 6.
Da un po’ di tempo stava sempre su facebook e il cellulare se lo portava pure in bagno.
Martina aveva più di un sospetto che suo padre frequentasse un’altra e anche mamma più di una volta l’aveva beccato che parlava fitto fitto con un certo Lorenzo. O forse Lorenza. Tant’è che ultimamente li aveva sentiti litigare piuttosto ferocemente per questa storia del cellulare e di
Lorenzo. Mamma non avrà mai il coraggio di lasciare papà, si disse, è una donna senza palle.
Martina si girò verso il finestrino trovandosi di fronte un viso livido e due occhi infinitamente tristi. Erano i suoi. E lì dentro c’era l’essenza dell’infelicità.
Ma tanto tra nemmeno un’ora avrebbe preso il
treno e sarebbe sparito tutto, come per magia.
Tra semafori rossi e idioti al volante, quel cavolo di tragitto dal circolo a casa sembrava non finire mai, come se
qualcuno le stesse dando la possibilità di cambiare idea.
Perché quando sei a un centimetro dal fare
certe cose rischi di avere paura e di mandare tutto all’aria.
Eppure quando lo progetti alla notte, nel silenzio generale e senza nessuno che ti rompa, sembra tutto così facile.
In fondo
è un viaggio a senso solo, senza ritorno se non in volo, cosa c’è di così terribile?, pensò.
Sempre meglio che sentire addosso ogni santo giorno tutta quella vergogna di non valere niente e di non andare mai bene a nessuno.
Martina si girò verso papà che aveva una mano sul volante, gli occhi sul cellulare e un sorrisetto ebete sulla bocca, poi alzò lo sguardo verso la strada e le sembrò che la Bmw di papà stesse invadendo la corsia opposta.
Ora se ne accorge, pensò mentre alla radio il dj annunciava un grande successo di Grignani, Destinazione Paradiso.
Che poi fu un attimo, molto più rapido di quanto poteva aspettarsi. Il tempo di sentire un clacson e vedere un furgone bianco a pochi centimetri dal parabrezza. Poi un botto, il buio e un treno che l’avrebbe portata a Paradiso città.

lunedì 14 marzo 2016

Eccoci prontissimi con la nostra rubrica del lunedì in compagnia di Noemi.


 LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


“Ho un po’ di problemi con mia madre” mi dice Noemi che sbatte i suoi occhioni celesti come a trattenere le lacrime.
“Che tipo di problemi?”.
“Lei dice che io la odio”.
“E perché mai?”.
“Perché dice che me ne voglio andare”.
“Spiegami meglio Noemi”.
“Dice che non voglio stare con lei e la tratto male. Se le chiedo di andare a dormire da una mia amica mi pianta il muso e quando litighiamo lei si mette a piangere”.
“E tu?”.
“Io la devo consolare, capito? Lei piange e io la devo consolare, come se fossi io la mamma”.
“Ti fa molto arrabbiare eh?”.
“Moltissimo!” esclama mentre si sradica una pellicina dal dito, “Mi vuole sempre far sentire in colpa… per esempio a volte mi dice una frase che odio”.
“Quale frase?”.
Tu ce l’hai una mamma e non l’apprezzi!” ora le lacrime scivolano veloci sulle guance di Noemi.
“Perché ti dice questo?”.
“Perché a lei è morta la mamma quando aveva tredici anni e forse non ha ancora elaborato il lutto”.
“Forse sì, hai ragione”.
“E poi quando le ho detto che quest’anno voglio andare tre mesi in Canada ha cominciato a dirmi che io le voglio male” e si tampona le lacrime con la manica della maglia, “Ma io non le voglio male! Io voglio fare la mia vita! E invece…”.
“E invece?”.
“E invece mi fa pesare tutto, vorrebbe che io stessi lì a farle da dama di compagnia ma così mi fa venir voglia di fuggire ancora più lontano”.
“Capisco Noemi… cosa pensi di fare?”.
“Di andare, è ovvio!” esclama decisa, “Perché io voglio essere libera”.


venerdì 26 febbraio 2016

Eccoci prontissimi con il penultimo atto del nostro breve racconto. Martina e la Bovina sono al punto decisivo...


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Quarta puntata



La Rumena era risorta dalle ceneri, rimbalzava sulla terra con una spavalderia ritrovata. Mise una prima di servizio potente e precisa, all’incrocio delle righe.
Martina, o meglio, il suo fantasma, vide sfilare la pallina al suo fianco senza poter intervenire.
7 a 6.
Ci volle mezzo litro di acqua fresca dritto dritto in faccia per riemergere da quello stato di catatonia.
Le compagne ci credevano ancora e continuavano a incitarla con i soliti cori. Poi Martina si girò verso le tribune. Papà non c’era più.
Quando fu sulla linea di battuta, il campo dell’avversaria le sembrò minuscolo.
La Bovina era Gulliver, lei era una Lillipuziana.
Dalla racchetta le uscì il servizio più vigliacco della storia.
La Bovina scaraventò un dritto che bruciò l’aria.
8 a 6.
6-0/4-6/6-7 (6-8). Questo fu il verdetto.
La Rumena cominciò a rotolarsi tra la polvere rossa inseguita dalle compagne festanti. Un’ammucchiata di corpi sotto il solleone.
Martina fuggì nello spogliatoio. Si mise a sedere sulla panca con l’asciugamano in faccia. Vi rimase per un paio di minuti, fino a che fu raggiunta dalle compagne, Greta e Marta che cercarono di consolarla mentre lei stirava un sorriso come se la delusione le fosse già passata. Non voleva farsi compatire.
Sotto la doccia si strizzò il sedere. Lo vedeva informe. Un corpo estraneo infilato lì, come uno scherzo di carnevale, nel suo corpo.
Muovi quel culone!
Oggi quel culone, nei punti decisivi, era rimasto zavorrato al suolo.


venerdì 19 febbraio 2016

Eccoci prontissimi con l'imperdibile terza puntata del nostro breve racconto "Una partita infinita".



CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Terza puntata


Seconda di servizio.
Martina si guardò la mano per sincerarsi che fosse ancora attaccata al corpo. Sembrava che ora rispondesse agli impulsi cerebrali.
E’ ora di chiudere la pratica!, pensò.
Con un battito di ciglia magico fece scomparire tutti gli astanti. Immaginò lei e la Bovina in un campo da tennis su un’isola deserta.
Questa volta il braccio rispose e il servizio costrinse la Bovina a un colpo di rovescio piuttosto debole a metà campo.
Sarebbe bastato un dritto leggermente più spinto e la Rumena sarebbe rimasta impotente e immobile sulla linea di fondo.
Martina, però, non se la sentì di affondare e decise per un palleggio interlocutorio.
Mordila quella pallina!
Un paio di scambi telefonati in cui nessuna delle due si azzardò a forzare.
Mordila quella pallina! Fu la Bovina a prendere coraggio.
Lo squalo sentiva l’odore del sangue.
Cominciò a tirare colpi più pesanti sul rovescio dell’avversaria.
Fu allora che Martina vide il campo rimpicciolirsi e la Rumena gonfiarsi.
La Bovina continuava a prendere campo e a menare, fino a che, con un siluro di dritto, si portò sul 6 a 5. Fece il pugnetto e urlò un sììì che lo sentirono anche al suo paese.
Ne ho ancora uno, pensò Martina.
Le incitazioni delle compagne arrivavano ovattate, come provenienti da un mondo parallelo. Papà, sulle tribune, era un terribile fermo immagine.
Martina si versò un mezzo litro d’acqua in faccia, si asciugò mani e viso e bevve un sorso di gatorade.
Si sentì rinascere.
La Bovina e il campo tornarono ad assumere sembianze reali.
La prima di servizio della Rumena naufragò a metà rete.
E’ fatta, pensò Martina.
Si mise in posizione di risposta, fece due passi avanti, spavalda.
Nascondi la paura, innervosisci l’avversaria, erano i consigli di papà.
La coppa era sua. Non c’era dubbio. Poi sarebbe volata a Roma.
La Bovina chiese tempo, doveva allacciarsi una scarpa. In realtà il laccio era perfetto, ci pensò lei, maliziosa, a chinarsi e a scioglierlo.
Quindi si rimise in piedi, cominciò a saltellare e dopo essersi tamponata il sudore e aggiustata le mutande, finalmente servì.
Martina fece due passi avanti per aggredire la pallina e presentarsi a rete a chiudere il colpo.
Mordila quella pallina! Le partì un colpo piatto verso l’incrocio delle righe.
La Rumena si sbilanciò sulla destra, vide la sua avversaria a pochi metri dalla rete e anziché sparare un passante che sarebbe finito preda dell’avversaria, giocò un pallonetto.
Martina osservò la pallina incendiarsi al sole e pregò.
Rimase immobile seguendo con lo sguardo la parabola discendente.
Sembrava non dovesse mai toccare terra. Invece pizzicò la riga di fondo campo.
6 a 6.
Martina abbassò lo sguardo, si vergognava di se stessa.

lunedì 15 febbraio 2016

Eccoci prontissimi con la nostra rubrica del lunedì in compagnia di Noemi.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


"Io non sono quasi mai stata felice" mi dice Noemi una ragazzina di quindici anni con i capelli lilla tipo Creamy, la protagonista di un cartone animato degli anni '80, "L'unico che riusciva a farmi sorridere era Maicol".
"Parli al passato" le faccio notare.
"Eh già" e sospira, "quando stavo con lui ero felice, ma proprio da dentro. Ho quindici anni e forse non so niente sull'amore ma sono sicura che quello lo era. Ma poi...".
"Che è successo?" le domando.
"Mi ha detto che era innamorato pazzo di me ma poi all'improvviso è sparito, puf... mi ha tolto da facebook e mi ha bloccato su whatsapp poi ho scoperto che si era messo con un'altra" e quasi si commuove, "e io sarei morta senza i miei migliori amici".
"Raccontami bene".
"Non mangiavo più, non dormivo e ho anche pensato al suicidio e loro mi sono stati vicini, mi hanno capito, ascoltato e così mi sono risollevata" esita un attimo poi mi domanda, "sai che cosa?".
"Dimmi pure" le faccio.
"Molti sottovalutano la parola amicizia ma è un sentimento che è più forte anche dell'amore. Il vero amico capisce che sto male anche se dico che va tutto bene, mi capisci?".
"Certo, ti capisco bene".
"Cioè il vero amico non è come quelli che quando gli racconti il tuo problema capovolgono il discorso e parlano di loro stessi. I veri amici ti ascoltano e stop! L'unica cosa è che non credo al per sempre, purtroppo un giorno prenderemo strade diverse e non ci sentiremo più".
"Quindi non credi che l'amicizia sia per sempre?" le domando.
Noemi si sistema quei morbidi capelli lilla, mi scruta di sottecchi quindi mi fa, "Bè a dir la verità con Selma è diverso, lei ha tirato fuori tutto il meglio di me... e forse saremo amiche per sempre".


venerdì 12 febbraio 2016

Eccoci pronti con la seconda puntata dell'attesissimo breve racconto "Una partita infinita". La nostra Martina è a un passo dalla sua prima vittoria ma deve fare i conti con un'avversaria che non ha intenzione di arrendersi. Buona partita!


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Seconda puntata


Provo un servizio liftato al corpo, pensò.
Tre rimbalzi e i capelli dietro alle orecchie.
L’impatto della racchetta sulla pallina risultò più insicuro. Troppo insicuro. La Bovina si schiodò dalla linea di fondo, fece tre passi avanti e scagliò un dritto pesante come uno scaldabagno. Martina poté solo osservare la pallina dissodare un lembo di terra rossa e naufragare su un cartellone pubblicitario.
6-4.
Ancora due match point.
Il primo sul suo servizio, il secondo su quello della Bovina.
Quando la raccattapalle le lanciò due palline, Martina ebbe un moto di ottimismo. Scrutò le compagne del suo circolo e il maestro Mauro Boggi assiepati sulle tribunette a ridosso del campo. Scandivano qualche coretto di incitamento.
“M-A-R-T-I M-A-R-T-I!”.
Al prossimo punto si sarebbero riversate in campo schizzandola con l’acqua delle bottigliette e soffocandola di abbracci. Il loro era un circolo affiatato. Perdente ma affiatato. Poi avrebbe visto la sua coppa luccicare al sole, l’avrebbe baciata per sincerarsi che fosse reale e non il solito sogno a occhi aperti. Una volta a casa l’avrebbe piazzata nella bacheca in salotto, accanto a quella di papà che trasbordava di riconoscimenti e targhe. La prima coppa vera, da vincente.
Si accorse che sparsi qua e là per la tribuna c’erano un paio di personaggi ignoti, molto attenti alle sorti del match.
Forse osservatori, pensò.
Il cuore iniziò a batterle più forte e la colse una certa impazienza.
Chi era quel signore di mezza età vestito elegante che fissava serio la partita?
Poteva essere, per esempio, un importante talent scout. Immaginò il suo allenatore entrare nello spogliatoio e annunciarle, “
Marti, c’è un signore che ti cerca”.
Sarebbe uscita con il cuore in gola, le gambe tremanti e sarebbe quasi svenuta quando il signore le avrebbe comunicato che un importante circolo di Roma era interessato alle sue prestazioni. Il primo pensiero sarebbe stato quello di correre da papà.
Hai visto, tua figlia non è una delusione! Sei contento di me?
Martina saltellò per sciogliere i muscoli e alzò gli occhi verso la Bovina già in posizione di risposta. Le sembrò ancora più rotonda e pesante.
Strizzò gli occhi. Quando li riaprì la metà campo della sua avversaria si era rimpicciolita.
E’ un’illusione ottica, si incoraggiò.
Fece rimbalzare la pallina tre volte, si aggiustò i capelli, e poi la lanciò in aria. Il braccio, quando fu in procinto di indirizzare la racchetta, smise di appartenere al suo corpo, come in un maleficio.
Mano della famiglia Addams. Ecco l’immagine che le si accese nella testa quando osservò la pallina sbavare fuori dal campo a lato di un metro e mezzo.
Un arto che andava per conto proprio e prendeva iniziative proprie.


venerdì 5 febbraio 2016

Finalmente riprende vita la nostra rubrica del venerdì con un breve racconto a puntate, "Una partita infinita". Riuscirà la tredicenne Martina, campionessa in erba di tennis, a sconfiggere la temibile avversaria Bojena Micu? Buona partita.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Prima puntata


Martina colpì la pallina con un dritto incrociato che non lasciò scampo a Bojena Micu.
6-3.
Tre match point.
Strinse il pugno e lo roteò in aria, poi se ne pentì. Il suo grillo parlante personale le frinì di rimanere con i piedi per terra. Non era ancora finita.
Finita finita no, ma occorreva un solo misero punticino per vincere il suo primo torneo, all’età di tredici anni, dopo innumerevoli sconfitte ai quarti o in semifinale.
Sul suo cammino una giocatrice di origine rumena del rivalissimo circolo di Cesenatico. Bojena Micu, soprannominata Bovina per via di uno sguardo non particolarmente reattivo. A vederla sembrava sua mamma.
Tredici anni, mandibola sporgente, due spalle da scaricatrice di frutta e un serbatoio di testosterone. Colpi pesanti ma una tenuta fisica che lasciava a desiderare.
Quella mattina la giunonica Bovina era sulle gambe. Ad una spanna dal ko.
Martina cercò in tribuna lo sguardo d’approvazione di papà. Si trovò, ancora una volta, a elemosinare un suo misero sorriso. Le sarebbe bastata anche una smorfia di trepidazione.
Invece Giovanni Miege, professore di matematica e illustrissimo insegnante di tennis al club ippodromo, se ne stava lì sul seggiolino in plastica, incurvato, con i gomiti sulle ginocchia, le mani incrociate sotto al mento, gli occhiali da sole con la cordicella intorno al collo e le labbra di cera.
Martina cercò di giustificarlo. Forse era nervoso.
Papà quando è nervoso si chiude, pensò.
Un solo punto e sarebbe esploso di gioia. Anche se, quando si trattava di sua figlia, era sempre piuttosto misurato. Anzi brutale. Sì, papà con lei era brutale.
Si asciugò la fronte con il polsino. Si mise in posizione di battuta. Alzò lo sguardo al cielo. Il sole era ormai allo zenit e i suoi raggi colavano sul rettangolo di gioco.
Fece rimbalzare tre volte la pallina sulla terra rossa, poi si aggiustò i capelli dietro le orecchie.
Era il suo rito prima dei punti decisivi.
Un’occhiata alla Bovina che la fissava saltellando e soffiando sul palmo della mano per asciugare il sudore.
Un servizio esterno sarebbe stata la soluzione migliore. Sul rovescio poco mobile della sua avversaria.
La pallina lanciata verso il sole sembrò infuocarsi e l’impatto della racchetta fu preciso e lievemente liftato.
La Bovina rimase cementata sulla riga di fondo.
“Out!”, gridò la cornacchia sul trespolo.
Martina le sferrò un’occhiata tra l’accusa e la supplica.
L'impietosa cornacchia, dal canto suo, le fece cenno che era fuori di un’unghia.

lunedì 25 gennaio 2016


Eccoci con la nostra consueta rubrica del lunedì: per Aurora è tempo di scegliere la strada giusta.

LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


“Secondo me ho il lato di mio padre” mi dice Aurora, una ragazza con grandi occhi celesti e l’apparecchio che le dà ancora l’aspetto di una bambina.
“Qual è il lato di tuo padre?” le chiedo.
“Quello negativo, quello che fa sempre la cosa sbagliata” e abbassa lo sguardo.
“E tu cos’hai fatto di sbagliato?”.
“L’anno scorso ho preso delle brutte strade, proprio come papà… non studiavo e giravo con dei ragazzi che si drogavano” mi dice con un sospiro.
“Papà ha preso delle brutte strade?” domando.
“Sì, ed è ancora in quelle brutte strade”, ora i suoi grandi occhi celesti si incupiscono, “E’ che papà pensando di fare la cosa giusta fa sempre quella sbagliata… proprio come facevo io”.
“Però di te mi stai parlando al passato”.
“Sì, perché quest’anno ne sono venuta fuori, ho mollato quelle compagnie, mi sono messa a studiare e ora sto con un bravo ragazzo” e i suoi grandi occhi celesti riprendono a scintillare.
Io le sorrido, “Brava Aurora, in realtà mi sembra che tu abbia avuto la forza e il coraggio di scegliere la strada giusta”.
“E’ perché dentro di me ho anche il lato di mia mamma, quello positivo. Mi dice che se capita qualcosa di sbagliato poi capita sempre qualcosa di giusto” e sorride anche lei.
“Tua mamma è molto saggia”.
“Proprio così” mi fa e poi si incupisce di nuovo, “Però vorrei una cosa…”.
“Quale, Aurora?”.
“Che anche mio padre scegliesse la strada giusta, ma so che non succederà mai”.

lunedì 18 gennaio 2016


Siamo prontissimi con la nostra rubrica del lunedì. Oggi qui allo Sportello ospito una coppia di ggiovani che mi spiega i segreti dei social.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Oggi qui allo Sportello Ascolto sono in due.
David, capelli a carciofo e acne, e Ayem, occhietti agili e sorrisetto furbo.
“Perché avete deciso di venire insieme?” chiedo.
“Perché tanto tra di noi non abbiamo segreti, lui sa tutto di me”, è Ayem a rispondere mentre David annuisce e tira fuori dalla tasca il cellulare.
“Vé, sono arrivato a cinquanta like in un’ora neanche” fa capelli a carciofo sbattendo il cellulare sul grugno dell’amico.
Occhietti agili sorride e lo sminuisce, “Io con una frase su ask sono arrivato a cento in mezz’ora”.
“Scusate se vi disturbo” intervengo, “sarei lieto se mi rendeste partecipe”.
“Ah sì sì, scusi prof, è che io e lui facciamo delle specie di gare”, è sempre Ayem a fare da portavoce.
“Ovvero?” domando.
“A chi ha più like… una volta sono arrivato a trecentosessanta” mi fa Ayem con un’aria molto soddisfatta, “Guarda qua se non ci crede prof” e mi mostra una foto a torso nudo in cui sfoggia i pettorali.
“Accidenti!” esclamo ammirato.
“Io sono arrivato a trecento”, anche David vuole rivendicare il suo successo sui social.
“Bravi ragazzi, io al massimo arrivo a tre” faccio un po’ sconsolato.
“E’ che bisogna avere le amicizie giuste” mi spiega Ayem.
“Io forse le ho un po’ sbagliate” mi rammarico.
“Si vede che le tue cose non interessano”.
“Forse hai ragione” sospiro, “Ma torniamo a noi, in queste gare che cosa si vince?”.
“Semplice prof, l’onore” e occhietti agili mi guarda come si guarda il più sfigato del gruppo, “più uno ha dei like, più ragazze può avere e più è considerato”.
“E per voi è importante?”.
“Importanteeee???” si scandalizza Ayem, “E’ fondamentale!”.

lunedì 11 gennaio 2016


Terminate le feste si ritorna alla nostra rubrica del lunedì in compagnia di Manuel e della sua storia a distanza.


 LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Manuel, sedici anni, occhiali grandi alla Clark Kent e orecchino nero sul lobo mi sta raccontando con la spavalderia di un vecchio lupo di mare le sue innumerevoli conquiste.
“Alla fine però penso solo a una” mi rivela a un certo punto.
“Chi è la fortunata?” gli domando.
Manuel sospira come se gli costasse fatica ammettere che anche un vecchio lupo di mare come lui possa soffrire per amore.
“Si chiama Alice ma c’è un piccolo problema… abita a Roma”.
“Quindi c’è un po’ di distanza”.
“Per la precisione trecentoventuno chilometri” sorride amaro il nostro Manuel.
“Li hai contati bene” gli dico.
“Eh già. Sai quante videochiamate ci siamo fatti da quando ci siamo conosciuti?”.
“No”.
“Centocinquantasette in tre mesi!”.
“Accidenti, le conti una a una, si sente che ci tieni. Ma fammi capire, quindi state insieme?” gli domando un po’ per provocarlo.
“Veramente no, siamo amici, ma…” e sembra quasi che il nostro vecchio lupo di mare si vergogni.
“Ma?”.
“Ma a me piace… e non so come dirglielo, per messaggio è un po’ squallido, vorrei parlarle faccia a faccia” si giustifica.
“E’ solo per questo che non ti sei ancora rivelato?” continuo un tantino a provocarlo.
“E ho un po’ paura che magari lei non provi le stesse cose e in questo caso ci rimarrei male anche perché si rovinerebbe l’amicizia”.
“Bé certo, quando subentra l’amore i rapporti cambiano”.
“Che poi se mi dicesse di no in realtà di ragazze ne avrei quante ne voglio”, ecco che il nostro Manuel ha un moto d’orgoglio.
“Quindi terrai dentro i tuoi sentimenti fino al giorno in cui la rivedrai?”.
“Perlomeno vorrei dirglielo quando sono più sicuro che sia un sì” ammette candidamente.
“Vuoi evitare rischi”.
Manuel ci pensa su poi fa, “Non proprio, anche perché se sapessi che ci sta sicuramente forse mi piacerebbe di meno”.