venerdì 29 maggio 2015

Eccoci alla consueta rubrica del venerdì. Friendzone: atto finale!


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Terzo tempo


E’ bastata la telefonata a Luna per risollevare la parabola della mia schizofrenia che ora si attesta nell’emisfero up
Infatti la ragazza più dolce del sistema solare non solo è sembrata più allegra e ben disposta nei miei confronti ma ha anche accettato l’invito per oggi pomeriggio ai giardini Savelli.
Mi butto sul letto con le mani intrecciate dietro la testa, mi preparo il discorso e cerco di immaginare le sue reazioni. Nella scena finale ovviamente ci baciamo e quando la riaccompagno a casa mi giura amore eterno. Più si avvicina l’ora del nostro incontro e più sono certo che l’ansia della volpe mentre aspettava il Piccolo Principe fosse niente a confronto dell’attacco di panico che mi si potrebbe scatenare da un momento all’altro.
Passo una vita in bagno ad aggiustare un ciuffo ribelle con tre chili di gel e proprio mentre sto per uscire di casa mi devo pure sorbire il terzo grado del Generale.
“Con chi esci?”.
“Con i soliti”.
“Dove vai?”.
“In centro”.
“A che ora torni?”.
“Sei e trenta”.
“Di molte parole, eh!” si lamenta il Generale quando ormai io sono già sul mio zip rosso fuoco e sfreccio lungo le vie di Cesena cantando a squarciagola Albachiara di Vasco.
E Luna è già lì che mi aspetta sulla nostra panchina e la parabola della mia schizofrenia raggiunge le vette dell’emisfero up. Ha così tanta voglia di vedermi che è già qui, addirittura in anticipo, penso, mentre avanzo con il casco in mano tra il profumo di viole e di erba tagliata.
Un paio di baci casti sulle guance, e a me rimane in bocca il sapore di mandorle, poi è Luna che rompe il ghiaccio e si mette a raccontare delle ultime vicissitudini con quella stronza ciellina della prof di biologia.
A un certo punto sento che è il momento: con la bocca impastata e il cuore che mi pulsa fin dentro le orecchie, prendo in mano le redini della situazione. Vi assicuro che le sfodero un discorso da fare invidia alla setta dei poeti estinti e termino con la fatidica domanda, “Vuoi metterti con me?”.
Luna mi guarda con una dolcezza straordinaria e aspetto solo che le sue labbra disegnino quella semplicissima sillaba, .
Invece mi prende la mano, mi sorride come si sorride a un mentecatto e mi dice, “Io ti voglio veramente bene, credimi, ma come amico, se creiamo un altro tipo di rapporto potremmo allontanarci e bla bla bla”.
Luna continua a parlare, forse crede di ammorbidire il gancio che mi ha appena sferrato, ma ho smesso di ascoltarla dopo la prima frase e sono già con la vanga in mano a scavarmi la fossa in cui vorrei buttarmi all’istante.
Quando ci salutiamo mi abbraccia così forte che quasi mi stritola ma a me non importa nulla, vorrei solo che sparisse: in questo momento io e il mio orgoglio la odiamo. Mi avvio verso lo zip e mi sento come uno di quei cagnolini abbandonati dai padroni lungo l’autostrada
E mentre mi infilo il casco una domanda mi sorge spontanea: sopravviverò?

mercoledì 27 maggio 2015

Eccoci all'attesissima rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri terribili vecchietti!


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO

Parte prima


Oggi abbandoniamo, solo temporaneamente, le perle di saggezza di Ernesto per addentrarci in un tema molto caldo, anzi hot: i matrimoni gay. Dopo aver letto la notizia che in Irlanda, tramite referendum, sono stati legalizzati i matrimoni omosessuali, nella sala polivalente ad Runcfrèdd si scatena l’inferno.
Per prima cosa domando in maniera innocente chi sono mai questi gay. Non l’avessi mai chiesto!
L’Angelina prende la parola con un’aria schifata, come se stesse annusando del pesce avariato, “I finocchi!” risponde secca.
“Non i finocchi da mangiare” sghignazza la Mariuccia.
“No, no, un uomo che va con un uomo!” torna alla carica l’Angelina.
“Non dovrebbero esistere!” esclama dal nulla l’Irma.
“Purtroppo ce ne sono anche in Italia” sospira rassegnata la Mafalda.
“Se vanno avanti i gay il mondo va male” rincara l’Irma.
“Scusa” salta su l’Angelina, “Ma un uomo con un uomo cosa fanno?”.
“Te lo devo proprio spiegare?” le sorrido.
A quel punto interviene Edmondo che intanto si sta sistemando il catetere e con la sua proverbiale delicatezza esclama, “Ma dai, se lo mettono nel c…”, riesco a fermarlo prima che possa finire la frase.  
“Sì, fanno quello, ma non andiamo oltre” dico io che non voglio far precipitare il dibattito nel peggior trash.
“Fanno schifo!” si accalora l’Irma, “Pensa che io li ho visti per la prima volta a Torino e non sapevo nemmeno cosa fossero, allora l’ho chiesto alla mia amica che mi ha risposto, lascia stare valà sono i finocchi”.
“Invece un giorno una mia vicina di casa ha scoperto che uno dei suoi figli era finocchio e piangeva come una matta”, anche la Mafalda ci porta la sua testimonianza.
“Io glielo taglierei, zac, e via tutto!” sentenzia l’Angelina che intanto fa il gesto delle forbici.
“Se un giorno venisse tuo figlio e ti dicesse sono gay?” le domando.
“Prima gli direi che è una cosa che non si deve fare poi lo farei curare”.
“Domanda da un milione di dollari” la provoco, “Meglio ladro o gay?”.
“Ladro!” ribatte fiera l’Angelina, “Almeno puoi smettere di essere un ladro ma non di essere un gay”.
“Quindi omosessuali si nasce o si diventa?” chiedo al pubblico.
“Si nasce, l’omosessualità è un difetto, come uno che non ha un braccio o non ha un cromosoma… Non è regolare, è anomalo” specifica Edmondo.
Dopo questa definizione di alta scuola ho una specie di calo di zuccheri, “Scusate”, dico mentre mi alzo, “Torno subito”.

E questa è solo la prima parte dell’avvincente dibattito divampato qui negli studi di “Porta a Porta”… Ehm, scusate, nella sala polivalente ad Runcfrèdd. Vi assicuro che nella seconda puntata i nostri terribili vecchietti ci regaleranno interventi ancora più saggi e profondi. 

lunedì 25 maggio 2015

Oggi, nella consueta rubrica del lunedì, siamo ancora in compagnia di Rihab.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?

Parte seconda


Rihab mi fissa con i suoi occhi color petrolio e mi dice, “Sabato ho visto Abdul, non sono ancora riuscita a lasciarlo ma questa settimana mi è servita per capire tante cose”.
“Raccontami”.
“Vuole che rimaniamo insieme e che io lo segua nel percorso di fede”.
“Cosa significherebbe per te seguirlo?”.
“Vorrebbe che mettessi il velo, che non mi truccassi e non uscissi più con le amiche perché dice che sono troppo occidentali… Ma non sarebbe la mia vita”.
“E tu gliel’hai detto?”.
“Non ne ho avuto il coraggio ma poi…”.
“Ma poi?”.
“Poi quando sono salita sul tram avevo il solito nodo alla gola e sono scoppiata a piangere da sola come una scema mentre le persone mi guardavano con due occhi così. E in quel momento, non so perché, mi sono accorta che Abdul era morto…” e si lascia andare a un lungo sospiro.
Rimaniamo qualche secondo in silenzio a fissarci poi mi fa, “Ricordi che nella scorsa seduta mi hai chiesto se ero cambiata?”.
“Certo che ricordo”.
“Ecco, in questa settimana ho sentito chiaramente di essere cambiata”.
“Nel senso?”.
“Non avevo voglia di scrivergli e se lui non mi scriveva non mi interessava più e non mi interessavano nemmeno le sue coccole. Sabato per esempio dopo tanto tempo mi ha abbracciato e mi ha detto, io non posso tornare quello di prima ma voglio stare con te per tutta la vita, e mentre mi stringeva mi sentivo distaccata come se non fossi lì e guardassi la scena da fuori”.
“Hai raggiunto delle nuove consapevolezze”.
“Credo proprio di sì” e accenna un sorriso malinconico, “E adesso sono anche arrabbiata con lui”.
“Per quale motivo?”.
“Ho capito che in questi ultimi mesi mi ha fatto perdere tante cose ma soprattutto mi ha rubato la felicità, il mio sorriso interiore, ma ora…”.
“Ma ora?”.
“Ma ora sono pronta a lasciarlo, sul serio!” esclama con uno sguardo deciso che non le avevo mai visto prima.

Ancora un po' di pazienza e nella prossima puntata scoprirete se Rihab avrà davvero il coraggio di lasciare Abdul oppure se tornerà sui suoi passi. 


venerdì 22 maggio 2015

Eccoci alla rubrica del venerdì. Il nostro Liceale verrà definitivamente friendzonato? 


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Secondo tempo


Oggi la parabola della mia schizofrenia è in picchiata verso una preoccupante fase down. Vi chiederete come mai visto che solo qualche giorno fa ero nella pienezza della fase up.
La ragione è molto semplice, sono passati sei giorni dal bacio e non ho ancora avuto il coraggio di chiedere a Luna se stiamo insieme. In realtà se fosse per me sarebbe sottinteso il , visto che sarò anche vecchio stampo ma nel mio codice deontologico se porto al cinema una ragazza e poi ci baciamo, per la proprietà transitiva è come se fossimo insieme.
Il problema è che Luna da domenica è cambiata, nel senso che sembra più distaccata. Per esempio, fino alla scorsa settimana, durante l’intervallo avevamo un rito: sederci sulla cattedra della bidella, parlare del più e del meno, soprattutto della scuola, e prendere un po’ in giro gli elementi più sfigati che ci sfilavano davanti.
In queste mattine, invece, al posto di Luna mi sono ritrovato vicino la bidella Orietta con mela, taglierino e alito nucleare e anche lei, talmente abituata a vederci insieme, infieriva, “A quella Luna l’hai fatta scappare via?”.
“Fatti i cazzi tuoi” ho bofonchiato tra i denti continuando a rimanere lì, come un fesso, ad aspettarla, ovviamente invano.
Così mercoledì all’intervallo ho preso coraggio e mi sono avventurato nella sua classe. Era lì che rideva e scherzava con la Sere e la Vero, compagne che non ha mai cagato in vita sua, e quando mi ha visto è sembrata imbarazzata. Le ho fatto cenno di raggiungermi un attimo e poi le ho chiesto se ci potevamo vedere nel pomeriggio ché le dovevo parlare di un fatto molto serio.
“Addirittura molto serio!” ha esclamato con un sorriso un po’ forzato, “E’ che con il fatto del polline e dell’allergia non sto tanto bene… Magari domani”.
Il giorno dopo, stessa scena, ma motivazione diversa: “Ho un sacco di verifiche in questi giorni e i miei non mi fanno uscire” e stavolta Luna mi è sembrata molto sbrigativa.
Questa situazione sta cominciando a pesarmi, odio rimanere nel limbo, come scriveva Dante “Tra color che son sospesi”, e continuo a chiedermi come quel bacio piuttosto che avvicinarci ci abbia allontanato. O perlomeno abbia avvicinato me e allontanato lei.
Così ora, in questo sabato pomeriggio di inizio maggio, con la cornetta in mano e i Generali che continuano a ronzarmi intorno, sto per telefonare a Luna. La inviterò sulla panchina dei giardini Savelli, la stessa su cui ci siamo baciati, contando sulla scaramanzia: magari lì, in quell’atmosfera magica, le torna il desiderio di baciarmi. Magari, appunto.   

mercoledì 20 maggio 2015

Eccoci, in compagnia di Ernesto, alla consueta rubrica del mercoledì.


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Nella scorsa puntata qui nella sala polivalente ad Runcfrèdd abbiamo scoperto che Ernesto non è solo una macchina del sesso a pagamento bensì prova anche dei sentimenti e addirittura ha dei rimpianti.
Oggi però mi è bastato notare il suo sorrisetto beffardo quando ha chiesto la parola, per intuire che dopo quella breve parentesi di umanità stava tornando l’Ernesto doc che tanto ci piace.
“Ieri ti ho detto che volevo essere libero e non volevo legami…”.
“Certo mi ricordo” gli ho risposto.
“E per chi non vuole legami sai quali sono le donne migliori?”.
“No, sono proprio curioso”.
“Le donne sposate!” ha esclamato battendo il pugno sul tavolo della carrozzina.
“No, dai, le donne sposate no!” l’ho provocato, “Mi fai cadere un mito, ho sempre pensato fossero brave e fedeli”.
“Seee” ha sorriso e mi ha guardato come fossi un bambino ingenuo, “Sono le peggiori. Se una tutti i giorni mangia le tagliatelle poi si stufa e comincia a desiderare i cappelletti”.
“Quindi tu eri i cappelletti?”.
“Eh sì!” ha esclamato tutto compiaciuto, “E quello che dicono contro il marito non lo dicono nemmeno contro un delinquente”.
“Ma daiii!”.
“E’ proprio così, dà retta a uno che ne ha avute a centinaia di donne sposate”.
“Allora mi arrendo” ho esclamato alzando le mani.
“Ce n’è stata una però che mi ha colto alla sprovvista: un giorno, dopo che abbiamo fatto l’amore mi ha detto, mollo mio marito e mi metto con te”.
“E tu?”.
“Io me la sono fatta sotto e sono sparito dalla circolazione ma so che ha continuato a cercarmi fino a che un giorno me la sono trovata sotto casa”.
“Una specie di stalker” gli ho detto non proprio convinto che conoscesse questo termine moderno.
Ma lui tutto infervorato mi ha risposto, “Sì sì bravo, era proprio una stolper! Comunque le sono andato incontro con un mattone nella mano e l’ho minacciata che se non se ne andava via subito glielo tiravo addosso come fanno là nell’Islam”.
Stavo per chiedere come fosse andata a finire quando a Ernesto è squillato il cellulare.
“Chi è una delle tue donne sposate?” gli ho strizzato l’occhio.
“No, è l’ora del cumadin” mi ha risposto un po’ deluso.

lunedì 18 maggio 2015

Oggi, nella rubrica del lunedì, i dilemmi della giovane Rihab.



LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?

Parte prima.


“Oggi lascio Abdul!” esclama convinta Rihab.
“Che è successo?” le domando.
“Non ci vediamo mai, ci sentiamo solo su whatsApp. Si è dato alla preghiera e ora per lui esiste solo la religione. Non mi tocca più e se lo abbraccio si allontana, dice che non va bene”.
“Quindi prima Abdul era diverso?”.
“Sì, era coccolone, ci baciavamo, facevamo l’amore” e sfodera quel suo sorriso bellissimo, lievemente infantile, ma poi si intristisce subito, “Da qualche mese invece niente di niente, è così distaccato!”.
“Tu hai bisogno del contatto fisico?”.
“Sì, ma non in quel senso… Vorrei solo che tornasse affettuoso come prima. Sono cresciuta con una mamma che era sempre in hotel per lavoro, era il mio patrigno a farmi le coccole. Ricordo che mi addormentavo in braccio a lui mentre mi accarezzava i capelli. Poi da un giorno all’altro ci ha abbandonato ed è scappato in Tunisia e io mi sono sentita completamente vuota… Poco dopo ho conosciuto Abdul”.
“E ha preso il posto del tuo patrigno?”.
“Proprio così, è diventato il mio punto di riferimento. Ora però non è lo stesso Abdul di prima. L’altro giorno eravamo al parco, lui stava a computer a guardarsi i video delle preghiere e io sono rimasta in silenzio tutto il tempo a giocare con il cellulare e mi veniva da piangere. A un certo punto mi ha chiesto che cosa avessi fatto e io ho messo su la mia maschera che ride e gli ho detto, niente niente. Non sono riuscita a lasciarlo perché avevo un nodo proprio qui”, mi indica la gola, “che mi impediva di parlare”.
“Forse non sei ancora pronta?”.
“Non lo so, in fondo spero ancora che possa tornare quello di prima e poi ho paura di buttare questi due anni insieme”.
“Pensi che sarebbero due anni buttati?”.
“Forse no, sono cresciuta tanto con lui”.
“Poi siete cambiati…”.
“Lui è cambiato” puntualizza quasi risentita.
“E tu?”.
Dopo qualche secondo di silenzio mi fa, “Sì, forse anch’io”.

Rihab troverà la forza di lasciare Abdul? Lo so che siete curiosi, ma lo scoprirete nella prossima puntata! Forse...

venerdì 15 maggio 2015

Eccoci pronti con la rubrica del venerdì! 


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Primo tempo


Nell’estate del 1997 imperversava alla radio la canzone degli 883 “La regola dell’amico”, oggi, anno 2015, quella regola può essere riassunta in una parola di origine inglese: friendzone.
In ogni caso il concetto, come canta Pezzali, è semplice, “Se sei amico di una donna non ci combinerai mai niente”.
E chi di voi, nel corso della vita, non è stato friendzonato?
Io, per esempio, sì, ammetto di essere stato clamorosamente friendzonato.
Mi è bastato rileggere qualche passo del Memoriale di un liceale per rivivere quei drammatici momenti. E vi assicuro che ci sareste caduti anche voi, perché di una ragazza dall’espressione così dolce era impossibile non innamorarsi e tantomeno immaginare che potesse fare del male a qualcuno.

Da quando sono entrato in quella fase della vita che si chiama adolescenza credo di essere diventato schizofrenico, nel senso etimologico del termine, cioè ho la mente divisa in due parti, diametralmente opposte.
In alcuni momenti sento che potrei spaccare il mondo e se guardo avanti la vita mi sembra una bella camminata in un prato fiorito, in altri ho l’impressione di attraversare una selva di rimorsi e di sfighe, inseguito da quella sensazione che Baudelaire ha chiamato spleen.
Stasera, per esempio, sono nella fase up e mi sento così onnipotente che se i Generali non controllassero ogni mio spostamento prenderei su il mio zip e potrei attraversare Cesena in impennata.
E se sono nella fase up è tutto merito di Luna. Non sto parlando del pianeta ma della ragazza più dolce del sistema solare.
E’ mezzanotte, non riesco a dormire, mi rigiro nel letto e rivivo ogni secondo della pazzesca giornata che ho appena trascorso.
Oggi pomeriggio siamo andati al cinema Eliseo, io e lei da soli, a vedere “Jerry Maguire”, in cui Tom Cruise è un procuratore di successo che un bel giorno decide di uscire da una grande meschina Società per mettersi in proprio e curare di più il rapporto con i clienti. Lo seguono solo una segretaria sfigata e un giocatore di football con grandi potenzialità ma ancora sconosciuto al pubblico. Bé, alla fine succede che Jerry e la segretaria vissero felici e contenti mentre il giocatore diventa una vera e propria star. Insomma, una cavolata dai buoni sentimenti, ma alla domenica pomeriggio hai voglia di quei buoni sentimenti perché ti aspetta una settimana con la testa riversa sul “De brevitate vitae” o sul “De felicitate” e vi assicuro che non è il massimo del divertimento.
Dentro alla sala Luna e io ci sfioravamo la mano e bevevamo la coca cola dalla stessa cannuccia, ma il bello è venuto dopo il cinema quando ci siamo seduti sulla panchina dei giardini Savelli con quell’arietta tiepida e profumata di fine Aprile.
Luna mi si è accoccolata sul petto e mi ha detto che come sta bene con me non sta bene con nessuno. Io intanto le accarezzavo i capelli e mi sembrava di essere finito dritto dritto in una canzone romantica di Baglioni, tipo Questo piccolo grande amore.
A un certo punto Luna mi ha fissato con uno sguardo dolcissimo e ci siamo baciati, per poco perché poi lei si è staccata ed è rimasta per un bel po’ di tempo in silenzio. Le ho chiesto cosa avesse fatto e mi ha risposto, niente niente, va tutto bene. Quando davanti a casa sua ci siamo salutati eravamo tutti e due un po’ imbarazzati, anzi, io ero completante sconvolto. Sembrava che Luna all’improvviso avesse fretta, mi ha dato un bacio veloce sulla guancia e mi ha detto, a domani. Forse era in ritardo e so che se non arriva puntuale sua mamma la mette subito in punizione. Oltre al fatto che doveva finire una versione del “De Bello Gallico”.
Comunque ora che sono qui nel letto e mi agito come un tarantolato, una domanda sorge spontanea: Luna e io stiamo insieme?

Per saperne di più, cari miei, dovrete attendere il prossimo venerdì!




mercoledì 13 maggio 2015

Oggi, nella rubrica del mercoledì, il nostro Ernesto ci delizia con un'altra delle sue perle di saggezza. 


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Qui nella sala polivalente ad Runcfrèdd siamo ancora tutti emozionati per la romantica storia d’amore che ci ha appena raccontato Ernesto.
Sto per cominciare l’attività di ginnastica dolce quando qualcuno rompe il momentaneo silenzio e recita questa frase:
“La donna è una tenia terribile nel cuore dell’uomo, figlia della menzogna. Per mezzo della donna il diavolo ha trionfato su Adamo e gli ha fatto perdere il Paradiso”.
Indovinate un po’ chi ha preso la parola… Sì, ancora lui, Ernesto.
“E questa da dove l’hai tirata fuori?” gli faccio io.
“Lo dice il Corano e ha ragione!” esclama battendo il pugno sul tavolino della carrozzina, “Le donne sono delle matte, perdono il controllo della ragione. Ce l’hanno nel carattere!”.
Scusate l’ignoranza ma non so se quella frase esista realmente in qualche Scrittura né tantomeno se esista nel Corano.
Comunque gli domando un po’ provocatorio, “Tutte le donne sono così?”.
Lui ci pensa su e risponde, “Tutte tranne mia mamma, lei era buona, fedele e gentile!”.
“La mamma è sempre la mamma” e gli do una pacca sulla spalla, “Ma dimmi la verità, hai mai voluto bene a una donna che non fosse tua mamma? Brusèda a parte ovviamente” e gli strizzo l’occhio.
“Mmmm” riflette, “Io alla donna ci volevo bene solo quando avevo voglia di fare l’amore”.
“Viva la sincerità” interviene la signora Irma.
“Anzi una a cui volevo bene c’era… Forse”, Ernesto torna sui suoi passi.
“Chi era la fortunata?” domando.
“Maria, una forestiera, di Napoli, aveva due belle tette e due belle cosce. Si faceva la tinta, si truccava e portava sempre la gonna”.
“Almeno non era bruciata”.
Ernesto non coglie l’ironia, anzi noto che è sparito quel sorrisetto beffardo che sfodera quando parla di donne, e dice piuttosto serio, “A Maria volevo bene”.
“Cosa vuol dire per te voler bene?”.
“Avevo dei sentimenti di attaccamento, avevo voglia di vederla, di stare assieme, di farci l’amore. Poi mi ha chiesto di più e sono fuggito. Non volevo né matrimonio né figli, volevo essere libero”.
“Te ne sei pentito?”.
Ernesto abbassa lo sguardo come un bambino che è stato appena sgridato e fa, “Sì, perché adesso sono rimasto solo”.

lunedì 11 maggio 2015

Buon lunedì a tutti! Eccoci con la nostra consueta rubrica.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Mila è una ragazza marocchina, bellissima. Più che una studentessa sembra una velina: alta, magra, con i capelli neri che le cadono sulle spalle come una nuvola d’inchiostro. Quando cammina per i corridoi della scuola sembra che sfili e sa bene che tutti, nessuno escluso, si girano a guardarla.
Ora è qui allo Sportello, di fronte a me, e la sua espressione può essere descritta con un ossimoro: malinconicamente sorridente.
“In Marocco non vivevo bene” mi dice, “non appartengo più a quel paese, non so a che paese appartengo, non so nemmeno quale sia la mia identità”.
“Mi pare di capire che ti senti come in una terra di mezzo” le faccio.
“Proprio così”, esita un attimo, “se qui in Italia mi comporto da marocchina non mi trovo ma se prendo la mentalità italiana poi non sono più accettata dai miei”.
“Tu, Mila, cosa vorresti?” le domando.
“Io per esempio ho tanti sogni, vorrei fare la modella, mi piace stare al centro dell’attenzione, essere fotografata” sorride un po’ imbarazzata, “ma i miei non lo accetterebbero perché vogliono che io mi comporti da mussulmana”.
“Cosa succederebbe se tu seguissi i tuoi sogni?”.
“Perderei il rapporto con i miei e soprattutto con mio padre” si commuove, “io vivo per rendere fiero mio padre… Eppure… ”.
“Eppure?”.
“Eppure non voglio fare la fine delle donne della mia famiglia”.
“Cioè?”.
“Sono tutte insoddisfatte e io so bene che rimpiangono il loro passato per non aver fatto quello che desideravano. E poi io non voglio mettermi il velo”.
“I tuoi vorrebbero che lo portassi?”.
“Sì, ma non è che se lo porti sei migliore. Te lo devi sentire e io ora non lo sento. Quando sono andata in Marocco tutte avevano il velo e mi sentivo emarginata, così ho pensato di metterlo anch’io ma poi una volta tornata in Italia ho cambiato idea”.
Rimaniamo un attimo in silenzio poi mi fa, “Sai che parlando ad alta voce ho capito una cosa?”.
“Quale?”.
“Non voglio essere marocchina”.

venerdì 8 maggio 2015

Eccoci alla rubrica del venerdì! Buon fine settimana a tutti.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Dal memoriale di un liceale ho ripescato un piccolo vademecum per studenti su come modificare i voti ed evitare di trascorrere il sabato sera agli arresti domiciliari.

Non capisco perché i professori debbano aspettare sempre il venerdì e il sabato per riconsegnare i compiti in classe con il rischio di comprometterti il fine settimana. 
Oggi, per esempio, un bel sabato di aprile mi sono visto recapitare i seguenti voti:
Compito di latino: 7. Perfetto.
Compito di greco: 6--. Può andare.
Compito di matematica: 4. Disastro.
Compito di fisica: 3. Tabula rasa.
Occorre qualche accorgimento per non rischiare gli arresti domiciliari proprio stasera che ho un appuntamento molto speciale con una morettina molto speciale.
Ho comunque un certo codice nella metamorfosi dei voti da riferire ai due Generali.
Mai aggiungere più di un punto, va bene da quattro a cinque ma non da quattro a cinque e mezzo. Trasformare una tragica insufficienza in una sufficienza all’orizzonte è da vigliacchi.
Omettere, sempre e comunque, i meno meno. In fondo non cambia granché.
Non modificare i voti dal sei in su, al massimo un sei più può diventare un sei e mezzo, altrimenti significa che sei bugiardo geneticamente.
Poi ci sono i casi disperati e qui il discorso si complica.
Se prendi un tre hai due possibilità: rimandare il giorno del giudizio a tempi migliori, per esempio a quando puoi associare un bel sette in greco, oppure rimandare a oltranza pregando che i due Generali se ne dimentichino.
Io, in tutta sincerità, vi consiglio la prima strada, perché con la seconda vi scavate la fossa. Mi è capitato, infatti, che la Generalessa tornasse dalle udienze con l’ascia di guerra in mano perché aveva scoperto un tre e mezzo in fisica che mi ero dimenticato di riferirle. Ha cominciato a dirmi che sono un disonesto, che nella vita non si va avanti a bugie e che oltretutto ho avuto anche la presunzione che lei non lo venisse a sapere. Ti devi vergognare!, ha concluso. Alla sera poi il Generale ha rincarato la dose e mi sono beccato una settimana di arresti domiciliari.
Quindi, tornando a noi, la mia strategia, per oggi, è questa: il sette rimarrà sette, il sei meno meno diventerà un sei pulito e il quattro si trasformerà in un cinque. Quel tre rischierebbe di compromettermi l’appuntamento molto speciale di stasera perciò rimanderò la nefasta notizia alla prossima settimana e magari l’assocerò a un bel sette nel tema di italiano.
E che Dio me la mandi buona.





mercoledì 6 maggio 2015

Oggi, nella rubrica del mercoledì, si parla di Vero Amore!


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO



Da qualche giorno nella sala polivalente ad Runcfrèdd ospitiamo una new entry: Ernesto. Ottantacinque anni suonati, panza alla Babbo Natale, diabetico, ma guai a ricordarglielo, e soprattutto puttaniere incallito. Insomma, referenze di tutto rispetto.
Oggi si sta parlando di temi importanti, innamoramento e romanticismo. L’Irma ci ha appena raccontato la sua love story con il marito Renatino, ahimè deceduto da almeno dieci anni, e si è commossa.
Piréin, a sua volta, ci ha rivelato che sua moglie Maria è stata il suo primo e unico amore e che da quando è morta la vita non ha più senso.
Nella sala polivalente cala il silenzio, si stanno respirando emozioni forti.
A questo punto prende la parola Ernesto con un sorrisetto beffardo.
“Tutte le donne che ho avuto mi hanno chiesto dei soldi, solo una non mi ha mai chiesto niente, neanche una lira. Forse perché era brutta come la morte e non si azzardava. Aveva due cosce piene di grasso ma il peggio era la faccia. In paese la chiamavano la Brusèda. Una guancia era scura, con la pelle che sembrava colarle dal viso come la cera. Da piccola si era bruciata con il latte. L’altra guancia, per fortuna, si era salvata. Solo gli occhi erano belli, molto molto blu. Si chiamava Agostina e aveva diciotto anni più di me. Era la nostra inquilina, abitava al piano di sopra. Abbiamo iniziato a frequentarci e quando scendeva la notte e i miei genitori dormivano, salivo di sopra come un vampiro e facevamo l’amore. Una notte l’abbiamo fatto tre volte e quando si è alzata ha detto che vedeva l’aria rossa per la stanchezza.
“Wow, Ernesto!” faccio ammirato.
“Non ero innamorato” continua lui, “la scopavo e basta. Lei invece era matta di me. Gelosa marcia! Abbiamo tenuto la storia segreta per tutti quegli anni perché io mi vergognavo. A volte mi faceva proprio schifo. Se gli amici del bar avessero saputo che mi scopavo la Brusèda mi avrebbero preso in giro per sempre”.
“Nessuno ha mai sospettato niente?” lo interrompo. 
“Mio babbo, una volta mi ha urlato, se la metti incinta te la tieni! Ma io avrei negato anche sotto tortura di essere andato con quella lì. Poi dopo dieci anni abbiamo smesso.
“E perché mai? Una storia d’amore così romantica” gli faccio.
“Ha infranto il patto, ne ha parlato con le cugine. Quelle vecchie streghe hanno cominciato a dire che si doveva far mettere incinta al più presto perché stava invecchiando e io ero un buon partito. Ai tempi avevo la casa e un bel po’ di ettari di terreno. Una volta addirittura mi ha tagliato il preservativo. Per fortuna, quando me ne sono accorto, sono saltato fuori, c’è mancato un pelo. Poi c’è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Stavamo facendo l’amore, lei era sopra e io le ho detto, vengo vengo, spostati!, ma lei serrava le gambe. Cretina spostati!, le urlavo, ma quella pazza stringeva sempre di più, così le ho dato un pugno dritto sulla guancia sformata ed è caduta ai piedi del letto con il femore rotto. Da quella volta non ci sono più andato!” conclude con quel suo sorrisetto beffardo.
“E così, signori e signori, è finita una grande storia d’amore!” esclamo.

lunedì 4 maggio 2015

Eccoci con la rubrica del lunedì!


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Oggi di fronte a me c’è Federica, una ragazza minuta con il trucco ben curato e i lineamenti ancora da bambina.
Quando le chiedo, “Perché hai deciso di rivolgerti allo Sportello?”, lei mi risponde un po’ imbarazzata, “Problemi di cuore”. 
“Raccontami, Federica”.
“Sono innamorata di un ragazzo da quattro anni, dalla prima media, era un mio compagno di classe”.
Io annuisco e le domando “Gli hai mai svelato i tuoi sentimenti?”.
“No, ma l’ha capito”.
“E come hai fatto a farglielo capire?”.
Ci pensa su qualche secondo e poi mi fa, “Ci prendevamo in giro tutto il tempo e lui per scherzare mi diceva, Tanto lo so che ti piaccio”.
“E tu?”.
“E io ho sempre negato” risponde decisa.
“Hai mai pensato che in realtà potrebbe non averlo capito che a te piace?”.
Mi guarda perplessa, si arrotola i capelli intorno alle dita poi mi fa, “L’ultima volta che ci siamo sentiti mi ha inviato gli auguri di compleanno con un cuore, ci siamo domandati come stavamo e poi abbiamo chiuso la conversazione. A dir la verità sono io che non ho più risposto”, esita ancora un attimo, “Poi qualche settimana dopo era il suo compleanno e io nemmeno gli ho fatto gli auguri”.
“Quindi lui ti legge nel pensiero perché non mi sembra che tu sia stata molto chiara riguardo ai tuoi sentimenti”.
Federica sorride come a darmi ragione.
“E’ che ho paura”.
“Di che cosa?”.
“Che dica a tutti che gli vado dietro”.
“Bé, mica dice in giro che sei una spietata assassina”.
“E se mi dice di no?”.
“E se ti dice di sì?” le domando io.
Mi guarda ancora una volta perplessa e mi fa, “Ho paura anche di un suo sì, perché se poi dopo a me non piace più?”.   



venerdì 1 maggio 2015

La rubrica del venerdì non si ferma nemmeno il primo di maggio!


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Ci eravamo lasciati con il nostro eretico Alex che, durante l’assemblea d’istituto, provocato dal capovedattore, si alza e nel clamore generale strappa il microfono dalle mani di quel saccentello con la evve moscia. 

Mentre mi schiarisco la voce sento che in bocca non ho della saliva ma del cemento armato.
“Ok, sono io Alex e non ho certo paura di confrontarmi con questi soggetti” e indico sarcastico gli Inquisitori sul pulpito pronti a cuocermi su qualche rogo.
“Ebbene sì, questa scuola è vecchia, tutti gli istituti ci prendono in giro! Lo sapete come ci chiamano là fuori!?! Sfigati, fighetti, coglioni! Sì, proprio così, noi siamo gli sfigati di Cesena! E’ da cinque anni che sono qui e da cinque anni a Natale subisco quelle feste antidiluviane con quei quattro poveretti del coro che cantano sempre le stesse canzoni dell’età della pietra. Ci vuole un po’ di rock qua dentro!”.
Uno scroscio di applausi mi fa venire i brividi, non mi ferma più nessuno.
“E’ da cinque anni che sono qui e da cinque anni non c’è stata una sola iniziativa stimolante se non quella di costruire il presepe. I nostri rappresentanti sono delle mummie!” e indico gli Inquisitori paralizzati nelle loro postazioni, “Questa scuola è un sarcofago, agli ordini di cielle e di quei quattro professori che ci fanno stare attenti solo con l’ultradisciplina. Pensano solo a finire il programma per essere in pace con la coscienza e con il piano didattico e chissenefrega se noi alunni siamo annoiati, demotivati e stiamo attenti solo con le minacce. E non parliamo del giornalino, l’unico spazio in cui potremmo esprimerci liberamente e dare sfogo a tutto ciò che in cinque ore ci è proibito, è manipolato da certi personaggi in cerca d’autore” e mi giro quasi schifato verso il capovedattore che ha cominciato a sudare come se fosse in un bagno turco.
“Io continuerò a scrivere e a smascherare tutta questa ipocrisia! Possono togliermi tutto ma non possono togliermi la libertà!”.
Uno scroscio di applausi, standing ovation, quartine estasiate che mi lanciano sguardi d’amore, adolescenti brufolosi affascinati dal mio carisma e i miei nemici muti, imbalsamati come prede di caccia.
In sintesi è ciò che avrei voluto dire e fare, se solo avessi avuto le gambe abbastanza forti per tenermi su e il cuore meno vicino all’infarto.
Così, mentre il capovedattore con il sovvisetto continuava a dire, “Dai Alex vieni fuovi, è tutta qui la tua ivvivevenza?”, io rimanevo zavorrato al pavimento come il più pavido degli esseri umani.
Ahimè, l’assemblea che poteva sancire la mia beatificazione e innalzarmi a personaggio più amato del liceo, ha sancito solo la mia maledetta timidezza.