VOLEVO ESSERE ROBERTO BAGGIO
Lo so, lo so, osservando
questa foto starete pensando che siete capitati nel blog di un giocatore di
serie A sul viale del tramonto che vuole cimentarsi in un’autobiografia
nostalgica e strappalacrime che poi presenterà nel salotto di Barbara D’Urso.
E invece vi sbagliate.
Semplicemente dall’età
di sei anni fino almeno almeno ai dodici, avevo il sogno più banale della
storia (perlomeno tra i bambini italiani): volevo diventare un calciatore. Il
mio idolo incontrastato era Roberto Baggio e quando vidi quel famoso goal al
Napoli nel campionato 1989/90, in cui prese palla sulla sua trequarti e, dopo
aver saltato i difensori napoletani come birilli e aver irriso il portiere,
depositò la palla in rete, ecco allora pensai, un giorno anch’io segnerò un goal così.
In realtà un goal così
l’ho anche segnato, ma non al San Paolo e nemmeno al cospetto di ottantamila
tifosi, bensì nel campo di Bagnarola di fronte a cinque spettatori infreddoliti
tra cui mio padre e il mitico Lamberto, padre del mio compagno di squadra e amico
fraterno Toni (soprannominato replay per la sua velocità).
Con l’andare del tempo
mi sono reso conto che preferivo fare il Baggio nel campionato di Csi insieme
ai miei amici storici piuttosto che tentar fortuna in campionati più importanti
con ragazzi che non conoscevo e che allora erano molto più grossi e pelosi di
me.
Così ho abbandonato il
sogno più inflazionato della storia e dopo aver letto decine di libri (di mio
padre) sulla mafia e aver assistito alla morte dei miei eroi Falcone e
Borsellino, ho deciso che io, Tommaso Balbi, un giorno avrei preso il loro
posto. Insomma, un sogno abbastanza facile da raggiungere, non trovate?
Considerando però che
fin da piccolo ho avuto un bel po’ di paure (del buio, dei ladri e anche dei
morti) poco dopo ho pensato bene di scegliere un lavoro meno rischioso, così,
in quinta ginnasio, il vecchio Nello ed io abbiamo deciso di convogliare i
nostri sogni in un unico grande sogno: mettere su uno studio associato di
avvocati, guadagnare un sacco di soldi e avere due segretarie stragnocche che
ovviamente ci stavano.
Nel frattempo mi
divoravo un libro a settimana, dai classici, Svevo e Pirandello, agli ultimi
usciti, come Benni, King, Baricco Pennac e McEwan. Ma è stato un libro in
particolare, “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, di un allora giovanissimo
autore bolognese, Enrico Brizzi, che mi ha fatto pensare, Un giorno anch’io
diventerò uno scrittore.
Quindi da grande sarei
diventato uno scrittore/avvocato con le segretarie che ci stavano.
Poi non ricordo bene
cos’è successo nel frattempo ma nella mia testa c’è un salto temporale che mi immortala in terza liceo
durante l’ora di religione. Don Walter sta chiedendo ad ognuno di noi che cosa
vogliamo fare da grandi e quand’è il mio turno rispondo convintissimo: lo
scrittore, ma se non ci riesco il psicologo!
Allora il Don con un
sorrisetto ironico mi fa, E’ proprio un bel lavoro ma si direbbe LO psicologo.
E la classe giù a
ridere.
Quando mi volto verso il
vecchio Nello lui mi fissa come se avesse ricevuto la più grande delusione
della sua vita e mi fa, Ma non dovevamo aprire uno studio e farci le
segretarie?
Così ora sono qui e alla
fine un sogno l’ho raggiunto, infatti di mestiere faccio il psicoterapeuta e mediatore familiare, e corro avanti e indietro
tra scuole, case di riposo e studio privato.
Ma adesso c’è un altro
sogno da raggiungere…
Ah, dimenticavo, in
tutto questo non ho mai avuto una segretaria.
Dopo questa
presentazione (spero di non avervi annoiato) mi chiederete “Che cosa c’è di
tanto interessante in ‘sto blog?”.
Molto semplice: tutti i lunedì pubblicherò la
rubrica “Lo psicologo non serve a niente (?)”, dedicata alla mia attività nelle
scuole superiori, il mercoledì vi accompagnerò nei meandri delle case di riposo
(e mi raccomando tenetevi forte!) con la rubrica “Si stava meglio quando si
stava meglio” e infine il venerdì sarà la volta della rubrica “Considerazioni
notturne e dintorni” (che non ha niente a che vedere con Marzullo), dedicata a
pensieri, riflessioni e ricordi personali.