lunedì 30 marzo 2015

Eccoci alla nostra rubrica del lunedì!

LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?

 Parte terza


Nella stessa seconda in cui per fortuna qualcuno aveva aperto un po’ la finestra ora si alza la ragazza con la sciarpa intorno al collo e la richiude perché comincia a sentire freddo.
Quando chiedo quali siano i “problemi” per cui un ragazzo potrebbe richiedere l’aiuto dello psicologo ne sento di tutti colori.
“Per perdere un’ora di lezione!”.
“Per farmi tromb… ehm, trovare la ragazza”.
Risata generale.
“Per farmi sparire i brufoli!”.
“Per farmi dimagrire!”.
“Per farmi prendere sette in matematica!”.
“Per farlo smettere con le canne” interviene un ragazzino con la cresta indicando il suo compagno di banco rasta che a sua volte gli rifila un pugno sulla spalla.
“Che cretini!” esclama la ragazza con la sciarpa intorno al collo e gli occhi celesti, “Si va dallo psicologo se hai problemi in famiglia, con gli amici, con la scuola o se per esempio hai gli attacchi di panico o sei un po’ depressa”.
“Bravissima!” la elogio facendole un piccolo applauso, “Ma l’amore? Nessuno mi ha nominato l’amore!”.
“Certo l’amore è importante” annuisce il ragazzo di colore.
Il ragazzotto con i brufoli e l’apparecchio scoppia a ridere e dice, “Che sentimentale!”, a ruota salta su il tipo nel loggione con la pettinatura da calciatore e fa, “Con le donne si fa così”. 
Allora gli chiedo, “Così come?” e lui per tutta risposta fa un segno con la mano (Ci siamo capiti no?).  
Tutti i ragazzi ridono mentre le ragazze fanno espressioni scandalizzate.
“Allora c’è qualcuno che si vuole già prenotare per questo famigerato Sportello?”.
Silenzio da catacomba.
“Va bene, se cambiate idea mettete il bigliettino nella cassetta delle lettere al primo piano oppure lo dite alla prof e io vi chiamo al più presto” concludo e faccio per andarmene.
“Dai io mi prenoto!”, a intervenire è il ragazzo del loggione con la pettinatura da calciatore.  

venerdì 27 marzo 2015

Eccoci alla rubrica del venerdì!



CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Ode alle cabine telefoniche. Parte prima.





Scommetto che nessuno prima di me ha mai scritto un’ode alle cabine telefoniche.
Oggi tu che hai quindici anni non ne vedi quasi più in giro ma non immagini quante ore, alla tua età, abbiamo passato dentro a quelle astronavicelle rosse.
Attenzione, non pensare che io sia uno di quei nostalgici che considera l’epoca in cui è stato ragazzo come migliore di quella che oggi vivi tu.
Però c’è da dire che noi che abbiamo fatto l’adolescenza verso la metà degli anni ’90 eravamo dei cuori impavidi, altro che Mel Gibson.
Per corteggiare le ragazze mica avevamo i cellulari, facebook o whatsapp.
See, a voi piace vincere facile, per noi invece era una vera e propria impresa.
Quando alla ragazza di turno si telefonava da casa ti sentivi un po’ come oggi si sente un concorrente del Grande Fratello: tutti gli occhi addosso. Se poi avevi solo il telefono fisso, solitamente piazzato nello snodo centrale, il corridoio, dovevi giocoforza inventarti un linguaggio segreto o esprimerti a monosillabi per depistare le intercettazioni dei genitori. Se invece eri fortunato possedevi un portatile che però si scaricava subito e se ti allontanavi troppo dalla base non sentivi più niente. E poi non eri al sicuro nemmeno in camera tua perché nel bel mezzo dell’intorto (come dite voi adesso), potevi subire i raid della mamma, o perché era pronto da mangiare o perché eri sempre al telefono o perché non studiavi mai. E se non le davi ascolto ti trovavi poco dopo faccia a faccia con tuo padre (ovviamente entrava senza bussare) che minacciava di tagliarti i fili del telefono.
Così, per avere un briciolo di privacy eri costretto a uscire di casa e infilarti in una cabina telefonica.
Ma il vero problema ti si poneva quando dovevi chiamare per la prima volta a casa della ragazza con cui volevi provarci
E io all'epoca volevo provarci con Marika. 

mercoledì 25 marzo 2015

Eccoci puntuali alla nostra rubrica del mercoledì!

SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO

Il Gran Premio in carrozzina. Parte seconda.


In questo momento più che il circuito di Monza il corridoio sembra la tangenziale di Bologna di mattina nel bel mezzo di un tamponamento. A questo punto perché la gara possa riprendere c’è bisogno della Safety car, che sarei io. Scastro le carrozzine, tolgo il catetere dalle razze dell’Anna B., dico a Zignén “Mi raccomando sempre dritto”, estraggo la Pierina dalla chiesetta e infine scrollo l’Adalcisa che mi sputacchia un “Ma vaffanc…”.
“Pronti, via!” esclamo. Sale nuovamente il rumore delle carrozzine e l’odore dei cateteri e l’Anna T. prende la testa del gruppo speronata dalla Rosa che non si aspettava una partenza così bruciante.
Ma attenzione perché dalle scale si sentono i passi di Secondo che ridiscende a valle come un troll dai boschi. Si fionda nel corridoio e con uno slalom alla Alberto Tomba vecchia maniera beffa tutti gli avversari e si piazza con la sedia proprio di fronte alla televisione, la accende e alza il volume quasi al massimo tanto che lo sentono anche i pastori di Sogliano. Intanto da dietro: l’Anna T. che si è dovuta accontentare del secondo posto gli urla di scansarsi, ché con lui nel mezzo la tv non si vede, la Rosa sul terzo gradino del podio gesticola mandandolo a quel paese (e vi assicuro che sembra papa Ratzinger quando elargiva la benedizione urbi et orbi) mentre Zignén dopo aver varcato la porta della sala va in testacoda e lancia una bestemmia che incenerisce il crocifisso.
Ma purtroppo per loro Secondo non si è accorto di essersi dimenticato l’apparecchio acustico sul comò e valuta che il volume è un po’ troppo bassino quindi, per la felicità di tutto Runcfrèdd, decide di alzare un altro po’.

lunedì 23 marzo 2015

Eccoci puntuali all'appuntamento con la rubrica del lunedì.



LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE? 


Parte seconda


Stessa seconda e stesso odore, anche se qualcuno si è accorto dell’aria viziata e apre la finestra.
“Per voi è una vergogna andare dallo psicologo?”.
Quasi tutti rispondono “nooo” come per farmi un piacere.
“Dai, dite la verità!”.
“Un po’ sì, perché gli altri pensano che hai dei problemi” azzarda un ragazzo dalle file laterali con i capelli ricci.
Allora gli spiego che a scuola dallo psicologo si può andare anche solo per una chiacchierata, per un dubbio.
“Lo so ma poi magari dicono che sei sfigato” ribatte.
“Io ci vado da tre anni perché mi costringe mia mamma” fa una ragazzina con il pearcing sopra il labbro e la cicca in bocca, “Ma non serve a niente”.
“Io ci sono andata per due anni e invece mi è servito” interviene una ragazza con gli occhi celesti e la sciarpa intorno al collo.
“Uno nella vita ce la deve fare da solo” fa il ragazzo riccio, “Se chiede aiuto è un debole”.
“Non credi invece che chiedere aiuto sia un atto di maturità, di forza?” chiedo.
“E poi dire i propri caz… ehm scusi, le proprie cose a uno sconosciuto, io non ce la farei” interviene dal loggione il tipo stravaccato con la pettinatura da calciatore.
“Non credi che invece sia più facile raccontare i propri stati d’animo a una persona “esperta” che non ti conosce, non ha pregiudizi e soprattutto non ti giudica?”.
“Di certo delle mie cose ne parlerei molto più facilmente con uno psicologo che con i miei genitori che tanto non mi capiscono” dice una ragazza con il velo.
Passo in rassegna gli sguardi della classe e noto che quasi tutti stanno annuendo.

venerdì 20 marzo 2015

Eccoci arrivati anche al primo post della rubrica che vi accompagnerà tutti i venerdì.



CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI



E’ tardi, sono in macchina con il riscaldamento al massimo perché di notte, anche a metà Marzo, qui a Cesena la temperatura si abbassa sempre fino allo zero. In radio passa una canzone di Ligabue, “Piccola stella senza cielo”, e all’improvviso mi appaiono davanti agli occhi i visi di Lorena, Alina, Federica e Andreea. Sono solo alcune delle ragazze che ogni settimana si presentano allo Sportello Ascolto.
Risento le loro voci e rivedo i loro sguardi tristi, pesanti. Hanno alle spalle famiglie difficili, padri rabbiosi e stanchi oppure assenti, madri sottomesse, sofferenti e molto spesso ancora bambine. E sono proprio loro, le figlie, a prendersi cura dei genitori, ad ascoltarli e proteggerli.
Se Lorena ha mal di testa, la mamma ha un mal di testa più forte, se Lorena ha un’ansia che non la far respirare, la mamma sta ancora peggio. Lorena quindi ha smesso di parlare.
Se Alina ogni giorno viene presa in giro su Ask perché è sovrappeso ed è marocchina non può dirlo ai suoi, loro hanno già troppi problemi, soprattutto economici.   
Se Federica si taglia perché si sente in colpa quando papà e mamma litigano come matti, non può parlarne perché si accuserebbero a vicenda.
Se Andreea, dopo dieci anni, vuole cercare suo padre non può farlo perché sua mamma ne soffrirebbe troppo.
Ecco, Lorena, Alina, Federica e Andreea sono alcune delle piccole stelle senza cielo. Dietro al trucco pesante e ai pearcing nascondono lineamenti ancora infantili. Si innamorano sempre dei ragazzi sbagliati, che le trattano male, che le portano in macchina fuori dalle discoteche e il giorno dopo spariscono nel nulla. Eppure queste piccole stelle senza cielo sognano. E dentro ai sogni c’è il principe azzurro che un giorno le porterà via di qua.
Ma le piccole stelle a volte si bruciano in volo e io vorrei salvarle tutte quante.
E invece, mentre la canzone di Ligabue volge al termine, mi rendo conto di quante volte mi sia sentito impotente.


mercoledì 18 marzo 2015

Ecco a voi il primo post della rubrica che vi terrà compagnia tutti i mercoledì.


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Il Gran Premio in carrozzina. Parte prima.



Oggi pomeriggio quando sono entrato in Casa di Riposo ad Runcfrèdd i miei anziani erano sulla griglia di partenza a cavallo delle carrozzine con i cateteri già belli caldi. Dovete sapere che per loro è fondamentale varcare nelle prime posizioni la porta della sala polivalente per accaparrarsi i posti migliori di fronte alla televisione soprattutto oggi che proietto un vecchio film di Gianni Morandi.
“Allora siete pronti?” chiedo sventolando il dvd con la faccia sorridente del Gianni nazionale.
Loro tutti eccitati rispondono in coro un sonoro “Sììì!” mentre si alza il rumore dei motori e pure l’odore dei cateteri.
“E allora via!” esclamo.
La Rosa, che è uguale a papa Ratzinger, scatta in pole position e si piazza in mezzo al corridoio, subito dietro la incalza l’Anna T. che con le sue braccia da scaricatrice di pesche ha una potenza nettamente superiore. Prende la scia della Rosa e prova a superarla ma la sosia di papa Ratzinger chiude la traiettoria così che le ruote delle carrozzine si incastrano.
“Boia te!” urla l’Anna T. mentre la Rosa sorride diabolica.
Attenzione perché alle loro spalle arriva di gran carriera Zignén che da almeno due anni non vede più lume e di conseguenza non si accorge dell’incidente quindi tampona le avversarie e condisce il tutto con una bestemmia delle sue.
L’Anna B. in quarta posizione si aiuta con i piedi e con il corrimano ma la sacca del catetere le si infila tra le razze e le impedisce la rimonta così si fa superare da Piréin che nonostante un recente ictus gli abbia immobilizzato tutta la parte sinistra, riesce a mantenere la carreggiata con un sapiente movimento dell’arto destro.
Non ha la stessa abilità la Pierina che, con il suo Parkinson in fase avanzata, sbanda e si infila dritta dritta nella chiesetta. Fuori dalla lotta per le prime posizioni ci sono in rigoroso ordine: la signora Adalcisa ancora in catalessi da sedativo dopo che stanotte voleva scavalcare le sponde e andare a trovare suo marito a Calisese (che è morto almeno dieci anni fa), Maréin che si è appostato di fronte all’infermeria perché ha urgente bisogno della crema per le emorroidi e Marione, un ex monaco benedettino pentito, che aspetta l’ascensore per salire in camera dato che si è dimenticato la dentiera sul comodino.

lunedì 16 marzo 2015

Eccoci finalmente alla rubrica che vi terrà compagnia tutti i lunedì.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?

Parte prima


Stamattina ho un incontro in una seconda di un istituto professionale per presentare lo Sportello Ascolto. Quando entro in classe mi assale la puzza di adolescente, ascella, piedi e alito si contendono il primato.
“Allora ragazzi, chi mi sa dire chi è questo famigerato psicologo?”.
“Lei!” mi risponde un tipo stravaccato nel loggione con la pettinatura da calciatore e un dilatatore all’orecchio da capo tribù Mursi.
E giù tutti a ridere.
Allora riformulo la domanda, “Chi va dallo psicologo?”. 
“I matti” mi risponde un ragazzotto pieno di brufoli e con l’apparecchio ai denti.
“Cioè?”.
“Dai, quelli che pensano di essere Napoleone oppure quelli che hanno le allucinazioni” dice con un sorrisetto provocatorio.
E giù tutti a ridere.
“Seee, quelli vanno dallo psichiatra” interviene il suo vicino di banco con il cappuccio della felpa tirato su.
“E io vi sembro forse matto che lavoro da sette anni nelle scuole e ho un mio psicologo personale?”.
“Bé forse un po’ sì”, è un ragazzo di colore che mi risponde e lo fa con una tale spontaneità che anch’io mi metto a ridere.

venerdì 13 marzo 2015



VOLEVO ESSERE ROBERTO BAGGIO




Lo so, lo so, osservando questa foto starete pensando che siete capitati nel blog di un giocatore di serie A sul viale del tramonto che vuole cimentarsi in un’autobiografia nostalgica e strappalacrime che poi presenterà nel salotto di Barbara D’Urso.
E invece vi sbagliate.
Semplicemente dall’età di sei anni fino almeno almeno ai dodici, avevo il sogno più banale della storia (perlomeno tra i bambini italiani): volevo diventare un calciatore. Il mio idolo incontrastato era Roberto Baggio e quando vidi quel famoso goal al Napoli nel campionato 1989/90, in cui prese palla sulla sua trequarti e, dopo aver saltato i difensori napoletani come birilli e aver irriso il portiere, depositò la palla in rete, ecco allora pensai, un giorno anch’io segnerò un goal così.
In realtà un goal così l’ho anche segnato, ma non al San Paolo e nemmeno al cospetto di ottantamila tifosi, bensì nel campo di Bagnarola di fronte a cinque spettatori infreddoliti tra cui mio padre e il mitico Lamberto, padre del mio compagno di squadra e amico fraterno Toni (soprannominato replay per la sua velocità).
Con l’andare del tempo mi sono reso conto che preferivo fare il Baggio nel campionato di Csi insieme ai miei amici storici piuttosto che tentar fortuna in campionati più importanti con ragazzi che non conoscevo e che allora erano molto più grossi e pelosi di me.
Così ho abbandonato il sogno più inflazionato della storia e dopo aver letto decine di libri (di mio padre) sulla mafia e aver assistito alla morte dei miei eroi Falcone e Borsellino, ho deciso che io, Tommaso Balbi, un giorno avrei preso il loro posto. Insomma, un sogno abbastanza facile da raggiungere, non trovate?
Considerando però che fin da piccolo ho avuto un bel po’ di paure (del buio, dei ladri e anche dei morti) poco dopo ho pensato bene di scegliere un lavoro meno rischioso, così, in quinta ginnasio, il vecchio Nello ed io abbiamo deciso di convogliare i nostri sogni in un unico grande sogno: mettere su uno studio associato di avvocati, guadagnare un sacco di soldi e avere due segretarie stragnocche che ovviamente ci stavano.
Nel frattempo mi divoravo un libro a settimana, dai classici, Svevo e Pirandello, agli ultimi usciti, come Benni, King, Baricco Pennac e McEwan. Ma è stato un libro in particolare, “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, di un allora giovanissimo autore bolognese, Enrico Brizzi, che mi ha fatto pensare, Un giorno anch’io diventerò uno scrittore.
Quindi da grande sarei diventato uno scrittore/avvocato con le segretarie che ci stavano. 
Poi non ricordo bene cos’è successo nel frattempo ma nella mia testa c’è un salto temporale che mi immortala in terza liceo durante l’ora di religione. Don Walter sta chiedendo ad ognuno di noi che cosa vogliamo fare da grandi e quand’è il mio turno rispondo convintissimo: lo scrittore, ma se non ci riesco il psicologo!
Allora il Don con un sorrisetto ironico mi fa, E’ proprio un bel lavoro ma si direbbe LO psicologo.
E la classe giù a ridere.
Quando mi volto verso il vecchio Nello lui mi fissa come se avesse ricevuto la più grande delusione della sua vita e mi fa, Ma non dovevamo aprire uno studio e farci le segretarie?
Così ora sono qui e alla fine un sogno l’ho raggiunto, infatti di mestiere faccio il psicoterapeuta e mediatore familiare, e corro avanti e indietro tra scuole, case di riposo e studio privato.
Ma adesso c’è un altro sogno da raggiungere…
Ah, dimenticavo, in tutto questo non ho mai avuto una segretaria.

Dopo questa presentazione (spero di non avervi annoiato) mi chiederete “Che cosa c’è di tanto interessante in ‘sto blog?”.
Molto semplice: tutti i lunedì pubblicherò la rubrica “Lo psicologo non serve a niente (?)”, dedicata alla mia attività nelle scuole superiori, il mercoledì vi accompagnerò nei meandri delle case di riposo (e mi raccomando tenetevi forte!) con la rubrica “Si stava meglio quando si stava meglio” e infine il venerdì sarà la volta della rubrica “Considerazioni notturne e dintorni” (che non ha niente a che vedere con Marzullo), dedicata a pensieri, riflessioni e ricordi personali.