CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI
Ode alle cabine telefoniche. Parte prima.
Scommetto
che nessuno prima di me ha mai scritto un’ode alle cabine telefoniche.
Oggi
tu che hai quindici anni non ne vedi quasi più in giro ma non immagini quante
ore, alla tua età, abbiamo passato dentro a quelle astronavicelle rosse.
Attenzione,
non pensare che io sia uno di quei nostalgici che considera l’epoca in cui è
stato ragazzo come migliore di quella che oggi vivi tu.
Però
c’è da dire che noi che abbiamo fatto l’adolescenza verso la metà degli anni ’90
eravamo dei cuori impavidi, altro che Mel Gibson.
Per
corteggiare le ragazze mica avevamo i cellulari, facebook o whatsapp.
See,
a voi piace vincere facile, per noi invece era una vera e propria impresa.
Quando
alla ragazza di turno si telefonava da casa ti sentivi un po’ come oggi si
sente un concorrente del Grande Fratello: tutti gli occhi addosso. Se poi avevi
solo il telefono fisso, solitamente piazzato nello snodo centrale, il
corridoio, dovevi giocoforza inventarti un linguaggio segreto o esprimerti a
monosillabi per depistare le intercettazioni dei genitori. Se invece eri
fortunato possedevi un portatile che però si scaricava subito e se ti
allontanavi troppo dalla base non sentivi più niente. E poi non eri al sicuro
nemmeno in camera tua perché nel bel mezzo dell’intorto (come dite voi adesso), potevi subire i raid della mamma, o
perché era pronto da mangiare o perché eri sempre al telefono o perché non
studiavi mai. E se non le davi ascolto ti trovavi poco dopo faccia a faccia con
tuo padre (ovviamente entrava senza bussare) che minacciava di tagliarti i fili
del telefono.
Così,
per avere un briciolo di privacy eri costretto a uscire di casa e infilarti in
una cabina telefonica.
Ma
il vero problema ti si poneva quando dovevi chiamare per la prima volta a casa
della ragazza con cui volevi provarci.
E io all'epoca volevo provarci con Marika.
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