venerdì 30 ottobre 2015

Eccoci arrivati alla quarta, e penultima, puntata, della drammatica epopea notturna di Alessandro. Riuscirà a salvarsi la pelle e ad arrivare in tempo al Battesimo della sorella?


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Quarta puntata


L’Idrovora all’improvviso si mette a urlare come l’indemoniata dell’Esorcista allora il Bambino Gigante le molla un ceffone che le rivolta la faccia e lei finisce a terra mezza svenuta.
“Shhhh! Non urlare se no Dada e Dado si svegliano” si raccomanda sempre con quella vocina flebile.
“Scusa Davidino ma chi sono Dada e Dado?” mi informo abbassando a mia volta il tono.
“Sono Dado e Dada”.
Grazie al cazzo, penso ma è meglio tenere il pensiero per me quindi gli domando, “Ma i tuoi genitori non ci sono?”.
“No” e il poverino per poco non scoppia a piangere, “Ci sono Dada e Dado”.
“Ho capito ma dove sono ‘sti Dado e Dada?”.
“Là” e indica un angolo della stanza.
Mi volto, Dado, Dada e una mazza da baseball giacciono in un lago di sangue. E a giudicare dalla scena del crimine il Bambino Gigante ha fatto un fuoricampo con la testa di Dado.
Ecco che ora non sono più lucidissimo, gli scoppio a piangere in faccia e mi esce solo un disperato “Ma perché?!?”.
“Non volevano giocare a Monopoli” mi risponde candidamente.
Cerco di farmi forza e gli dico “Dai Davidino tira fuori ‘sto Monopoli e poi ti vado a prendere le bambole occhei?”
“Occhei” e sembra convinto.
“Promesso?” insisto.
“Promesso” mi fa e zampetta tutto entusiasta verso uno scaffale pieno di quelle maledettissime bambole.
L’Idrovora che sembrava semistecchita si rialza all’improvviso e purtroppo intuisco che sta per fare una cazzata mondiale. Così cerco di bloccarla ma lei si divincola come un’anguilla appena finita nella rete di un pescatore quindi si avventa sulla porta.
Che stupida!
Comincia a smanettare sulla maniglia poi una spallata e infine una raffica di calci disperati, ma niente, la porta non si apre.
Allora il Bambino Gigante lascia cadere il Monopoli a terra e in un attimo l’ha già afferrata per i capelli. A quel punto comincia a rotearla in aria poi la scaglia contro lo scaffale neanche fosse fatta di gomma piuma. Ma il Bambino Gigante non è soddisfatto e si mette a calciarla e se continua un altro po’ l’ammazza.
Ecco, io so che per avere qualche remota speranza di salvarmi la pelle me ne dovrei stare buono buono e farmi la mia partitina a Monopoli con Davidino Calvi ma questa volta non riesco a controllarmi così mi alzo e prendo la mazza di Joe Di Maggio intinta nel sangue di Dado e Dada. Senza pensarci troppo colpisco il cranio del Bambino Gigante e con l’adrenalina a mille gli urlo “Muoriii!”. 
Davidino sorpreso alle spalle emette un “Ahiiii!” in un terribile falsetto, barcolla, scrolla la testa poi si gira di scatto quindi mi rifila un pugno sul naso.
Cazzo me l’ha rotto! E mi ritrovo ancora per terra a tenermi il naso che butta sangue come un rubinetto. Ma il Bambino Gigante sembra ancora un po’ stordito così ho il tempo di rialzarmi, a dire il vero non so con quali forze, e lo colpisco di nuovo, una, due, tre volte, senza alcuna pietà né esitazione. Davidino comincia a ondeggiare con le braccia spalancate alla ricerca dell’equilibrio fino a che precipita inesorabilmente a terra. Il suo corpo produce delle scariche come una gallina a cui hanno appena tirato il collo ma poco dopo non si muove più. A quel punto crollo sulle ginocchia, sono esausto, mi gira la testa e il naso mi fa un male cane. Un conato di vomito poi non vedo più  niente.
Quando riapro gli occhi nella dependance c’è la luce del sole. La prima cosa che faccio è guardare l’orologio. Le 8.
Le 8!?!
Tra un’ora ho il Battesimo!

lunedì 26 ottobre 2015

Eccoci pronti con la consueta rubrica del lunedì in compagnia di una mamma molto ansiosa. Buona lettura!


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


“Sono qui per mio figlio, Dottore”, la signora L. è visibilmente ansiosa, “Marco è così chiuso, non ha amici, sta sempre in casa nella sua camera ad ascoltare la musica e giocare con quel maledetto computer”.
“Quindi non frequenta coetanei?”.
“A dir la verità uno lo frequenta… ma è un tipo strano, sfuggente, al massimo mi dice un ciao frettoloso e scappa via. Anche lui è appassionato di quegli stupidi giochini del computer”.
“Marco è sempre stato così?”.
“No, fino a un anno fa era più estroverso e più allegro, poi non so che cosa gli sia successo. E’ per questo che volevo venisse qui a fare dei colloqui con lei, ma…” e scuote la testa.
“Ma?”.
“Ma quando gliel’ho proposto sa cosa mi ha detto?” e le scappa un sorrisetto sconsolato, “Ci vai te dallo psicologo, non vedi come sei sclerata!”.
Rimane un attimo in silenzio poi continua, “Forse ha ragione lui, sono sclerata, ma è perché mi sembra che non sia come tutti i suoi coetanei. L’altra mattina sono passata apposta in macchina alla fermata degli autobus per osservarlo. C’erano un bel po’ di ragazzine, anche molto carine, e lui cosa faceva? Se ne stava girato di spalle con il cappuccio della felpa in testa e le cuffie nelle orecchie… e sono sincera, a me sembrava un disadattato”.
“Mi sembra che l’atteggiamento di Marco la preoccupi molto più di quanto preoccupi lui” le dico.
“Può essere, infatti mi sembra che sia sempre così distaccato da quello che gli accade intorno. Anzi un giorno mi ha detto addirittura che lui è felice e che non gli devo rompere le palle con tutte le mie paranoie” sospira la signora L..
“Forse è solo questione di tempo, sta cambiando e ora cerca la sua strada”.
“Può essere anche questo ma io mi sento in dovere di spronarlo, gli propongo mille cose per smuoverlo. Per esempio gli ho chiesto se quest’estate volesse fare un viaggio interculturale e lui mi ha risposto, Fattelo te il viaggio interculturale!”.
“Forse vuole decidere lui quello che fare” ipotizzo.
“Sì ha ragione Dottore, può essere che sia io che gli sto troppo addosso… ma comunque vorrei tanto che venisse da lei a fare qualche colloquio, come posso convincerlo?”.
“Se Marco non è motivato non lo costringa, rischieremmo di fare un buco nell’acqua”.
“Ha ragione, ma io mi sento così ansiosa…” e le si inumidiscono gli occhi.
“E allora che ne dice di rivederci la prossima settima io e lei così da lavorare su questa sua preoccupazione?”.
“Sì, forse ne ho bisogno” e sospira nuovamente.


venerdì 23 ottobre 2015

Eccoci con la terza puntata del racconto "Incontri ravvicinati del quarto tipo": l'epopea notturna del nostro Alessandro si trasforma in un incubo. Buona lettura!


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI 

Terza puntata


Scavalchiamo la ringhiera, l’Idrovora in un attimo rimane in tanga e si tuffa in acqua.
“Vieni è bellissima!” mi fa tutta eccitata.
Vabè che è agosto ma poi quando esco mi gelo. Pensare che in macchina avevo i teli!
L’Idrovora comincia a schizzarmi ma io non ho tanta voglia di scherzare anzi la manderei volentieri a quel paese. Ma dai faccio anche questa, un bagno veloce poi a casa. Ci metto un po’ ad abituarmi all’acqua, intanto l’Idrovora lo vuole rifare a tutti i costi, prova e riprova ma l’amico non mi si alza nemmeno di un millimetro. Finalmente la convinco a uscire e come previsto ci congeliamo. Allora ci buttiamo addosso i vestiti ma è ancora peggio, il freddo ci si appiccica ancora di più addosso. Lei trema come mia nonna che c’ha il morbo di Parkinson all’ultimo stadio.
“Ci sarà qualcosa da asciugarsi là dentro?” batte i denti e si avvia verso la dependance che è più grande dell’appartamento in cui vivo con mamma.
“Dai andiamo in macchina che ho i teli” e faccio per avviarmi.
Ma lei ovviamente non mi ascolta e si mette a forzare la maniglia.
“Sta stronza non si apre!” si lamenta poi rifila due calci alla porta.
Questa è pazza e ora basta! O viene via subito o la mollo qui! Non faccio in tempo a darle l’ultimatum che sento un urlo. La porta della dependance si è aperta e l’Idrovora è sparita. Corro a vedere che diavolo stia succedendo e quando mi affaccio mi chiedo se sono finito in un film di Carpenter oppure nel Cottolengo. C’è un mostro, sì un mostro in carne e ossa, perché non posso definire Umano questa specie di Essere alto almeno due metri con la faccia di un bambino, o meglio, di un bambino deforme. Proprio così, è una specie di Bambino Gigante. Sta tirando l’Idrovora per i capelli e mi sembra che le abbia già staccato qualche ciocca. Lo so che a questo punto dovrei fregarmene e darmela a gambe, che qua si mette male e tra poche ore devo essere in chiesa.
E poi cos’è sta puzza di marcio?
Non so cosa mi dica la testa e senza pensarci mi avvento sul Bambino Gigante ma lui per tutta risposta mi rifila uno schiaffo nella faccia che mi fa volare a terra. Mi ci vuole qualche secondo per riprendermi e quando mi guardo intorno ancora mezzo stordito vedo che sono circondato da bambole di pezza. Ma Questo è completamente fuori! E Questo mi lancia pure addosso l’Idrovora che tanto per gradire mi vomita sul piede. Poi chiude la porta e si infila le chiavi in tasca. Quando si avvicina verso di noi penso che questa è la degna conclusione della mia stupida vita. Invece il Bambino Gigante tira fuori una vocina flebile flebile e ci chiede, “Ce l’avete una bambola di pezza?”.
Non so come ma riesco a rimanere lucido e gli rispondo molto sicuro di me “Ne ho a migliaia di bambole di pezza, se ci lasci andare te le vado a prendere subito. Promesso!” e mi metto la mano sul cuore.
Ma lui prima pone delle condizioni.
“Voi giocate a Monopoli con Davidino Calvi poi Davidino Calvi vi lascia andare”.
“E chi è Davidino Calvi?” gli faccio.
“Sono io Davidino Calvi” e si batte l’indice deforme sul petto.


Continua...

lunedì 19 ottobre 2015

Eccoci pronti con la nostra rubrica del lunedì e con un suo sogno che ci racconta il mondo interiore di Enrico.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


“Da piccolo mi piaceva stare da solo, al pomeriggio dopo i compiti prendevo la bicicletta e andavo alla vecchia ferrovia. Stavo lì delle ore intere, te lo giuro, sul tetto di un treno merci in disuso a guardare l’orizzonte. A volte addirittura mi addormentavo con lo zaino sotto la testa” mi racconta Enrico, quindici anni, viso efebico e capelli scompigliati.
“E ti sentivi bene?”.
“Quello era il mio rifugio quando volevo scappare via da tutto e tutti. Mi dava una sensazione misteriosa stare lì da solo, lontano dalle persone, come se fossi in una realtà parallela” mi spiega.
“Mi piace questa definizione, misteriosa”.
“Sì perché quando mi rifugiavo lì inventavo un mondo tutto mio… e sai che l’altra notte ho fatto un sogno strano che riguarda proprio quel treno merci” e chiude gli occhi come per concentrarsi.
“Raccontami pure”.
“Ero piccolo ma guidavo un camion e il fatto che non mi spiego è che lo sapevo manovrare con facilità. A un certo punto mi sono fermato a chiedere delle indicazioni perché non conoscevo bene la strada. Ricordo che faceva un caldo terribile e avevo i finestrini abbassati, alla radio passava Elvis, una canzone che ascoltava sempre mio padre e che ogni tanto provava a strimpellare alla chitarra. Beh, succede che mi devo fermare a un passaggio a livello, che nella realtà non esiste, in prossimità della vecchia stazione e vedo passarmi davanti proprio quel treno merci. Procedeva a rilento ed era cortissimo, la locomotiva era una di quelle vecchie locomotive a vapore e non c’era nessuno dentro a guidarla… come fosse un treno fantasma… ah ricordo anche che andava verso sinistra…”.
“Che sensazione avevi in quel momento?”.
“Malinconia, è la prima parola che mi viene in mente, come se quel treno fosse la mia infanzia che se ne andava per non tornare mai più. Poi subito dopo sui binari opposti è sfrecciato velocissimo uno di quei treni nuovi che sembrano delle supposte volanti e sai cosa mi è successo?”.
“Dimmi pure”.
“Avevo paura della velocità e quando mi è sfrecciato davanti era come se per un attimo mi mancasse il respiro… è un po’ la sensazione che provo se penso al futuro”.
“Quindi quel treno nuovo potrebbe rappresentare il tuo futuro?”.
“Credo proprio di sì” annuisce.
Ci stiamo per salutare quando Enrico mi dice, “Sai che il giorno prima di questo sogno sono andato in scooter a fare un saluto alla vecchia ferrovia perché era da un bel po’ di mesi che non passavo da quelle parti. Mi sono trovato di fronte una gru gigantesca e almeno quattro cinque camion. Allora sono sceso e ho chiesto a un operaio che cosa stesse succedendo”.
“E lui?”.
“Mi ha detto che entro la fine del 2016 al posto di questo rudere di ferrovia sorgerà un immenso centro commerciale e non so perché ma quando sono tornato a casa avevo un’angoscia che credo di non avere mi provato”.



venerdì 16 ottobre 2015

Eccoci arrivati alla seconda puntata del nostro breve racconto “Incontri ravvicinati del quarto tipo”. Continua l’epopea notturna del nostro Alessandro.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Seconda puntata



Io allora capisco già come andrà a finire, che se me la carico in macchina non mi riduco a casa prima delle otto quindi praticamente faccio il dritto.
Il mio sesto senso non sbaglia e infatti poco prima di mettersi a cantare a squarciagola Alessandra Amoroso l’Idrovora mi dice “Non vorrai mica che la serata finisce qui”.
Io invece volevo con tutto me stesso che la serata finisse qui e le avrei detto volentieri, sarà per un’altra volta perché sai domani ho il Battesimo della mia sorellina e sarei pure il padrino e quindi devo fare bella figura, non posso anche stavolta fare il cazzone. I miei familiari li ho già delusi abbastanza. Ma figurati se l’Idrovora avrebbe capito, anzi, mi avrebbe preso per finocchio oltre al fatto che non mi sembra particolarmente interessata ai miei tormenti.
Ora che canta a squarciagola la butterei giù dalla macchina in corsa. Neanche fosse ‘sta gran topa da perderci la testa. Anzi. Prendiamo le cosce, sono belle abbronzate ma anche belle grassocce. Senza contare quel trucco pesante da baldracca. Dai, non si può uscire di casa in quel modo. Per esempio come fai a presentare una così a tua mamma? Al massimo la presenti a un regista di porno.
Ma vabé farò quest’ultimo sforzo e così accelero, direzione scannatoio. Mi infilo nella stradina sterrata e costeggio l’immensa villa del Calvi, poi prendo un’altra viuzza che sfocia in un piccolo spiazzo. Il mitico scannatoio
Che ricordi! Quando ancora non mi fregava niente di nessuno. Qui me ne sarò fatte a occhio e croce una cinquantina. Ma dai non esageriamo, forse di meno. Comunque ci si divertiva veramente. Io in una macchina e il Vecio in un’altra che facevamo le gare a chi durava di più. E vinceva sempre lui. Poi ho scoperto che giocava sporco, infatti si era comprato i goldoni ritardanti. Bello sforzo.
Comunque ora sono tranquillo, la villa è pure vuota quindi non ci sono rischi. Infatti ad Agosto Mario Calvi e consorte di sicuro non stanno a casa ma su qualche nave da crociera chissà dove. Che poi sono due personaggi di uno squallore unico. Lui è il presidente della regione, un tipo viscidissimo. Un panzone sempre in giacca e cravatta con i capelli unti tirati indietro. Lei invece è una bambola gonfiabile.
“Dai ricarichiamoci!”, l’Idrovora tutta trionfante tira fuori una bottiglia di vodka dalla borsa.
Le dico che sono a posto così ma per tutta risposta mi infila la bottiglia in bocca e mi tocca pure bere nonostante la nausea. Poi mi salta addosso e anche se inizialmente il mio amico fa pure fatica ad alzarsi, dai e ridai un po’ di voglia mi viene. Per stare sul sicuro mi infilo non uno, ma due preservativi e se ce l’avevo mi sarei pure infilato un calzino. Questa c’avrà più malattie di Cicciolina. L’Idrovora avrà dieci anni in meno di me ma è già un’attrice porno e a dire il vero per qualche minuto mi diverto pure. Dopo l’amplesso lei esce a fumarsi una sigaretta mentre io guardo l’orologio, sono quasi le cinque, e mi faccio prendere da qualcosa che assomiglia a ansia e senso di colpa insieme.
“Wow che villa!” l’Idrovora corre verso di me affacciandosi al finestrino.
“Eh sì questi hanno i soldi” le rispondo.
“E chi ci abita?”.
“I Calvi, uno stronzo e una stronza ma adesso sono in vacanza”.
“C’hanno pure la piscina?”.
“Sì, anche bella grande”.
“E se andiamo a farci un bagno?”.
“Scherzi vero?”.
Ma l’Idrovora non scherza per niente, “Dai muoviti!” mi fa e mi prende per un braccio. Dovrei impormi e riportarla a casa, anche con le cattive. E se fa storie mollarla lì, che se ne torni a piedi. Invece cedo, come sempre del resto.



mercoledì 14 ottobre 2015

Eccoci pronti con la consueta rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri affezionatissimi vecchietti alle prese con la cronaca nera. Buon divertimento!


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Oggi nella sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd si dibatte sul caso del gioielliere che dopo essere stato rapinato ha tirato fuori la pistola e freddato i due malviventi.
Concludendo la lettura dell’articolo con la frase, “E ora il pm indaga il gioielliere per eccesso di legittima difesa”, so di aver appena alzato un vespaio.
“Va là che ha fatto bene a sparagli!”, è la signora Irma ad aprire le danze, “Questa è gente che è meglio farla morire!”.
“Meglio eliminarla dalla faccia terra insomma” la provoco.
“Sì sì, meglio eliminarla” annuisce con foga.
“Avessero tutti il coraggio!” salta su la signora Mafalda che oggi sfoggia una bella maglia con vistosi motivi floreali.
“Il coraggio di?” domando.
“Di sparare a questa gentaccia” specifica.
“Ma no, non bisogna sparare” interviene la signora Pia con il suo tono aggraziato da suorina che ha appena preso i voti, “perché possono avere la famiglia, i figli…”.
“Questi delinquenti tutti in galera!” si intromette con prepotenza la signora Giuliana, “E via la chiave!”.
“Macché in galera!” ribatte un disilluso Piero, “Dopo due giorni sono già fuori e rifanno le stesse delinquenze!”.
“Qui più che si va avanti e peggio è”, la signora Irma riprende la parola scuotendo malinconicamente la testa, “noi che siamo vecchi ormai… ma quelli più giovani come fanno? Ormai i delinquenti sono tutti di loro e tra qualche anno si metteranno a comandare anche a casa nostra”.
“Di loro in che senso?” domando io.
“Stranieri!” esclama la signora Irma.
“Questi rapinatori in realtà erano due italiani, dei dintorni di Napoli” le faccio notare.
“Ah ma anche quelli sono brutta gente, tutti ladri e malviventi” sentenzia.
“Tutti tutti no” salta su la signora Mafalda, “ma una gran parte sì!”.
“Quindi se ho capito bene, per voi, i napoletani sono dei malviventi”.
“Certo!”, a rispondere in coro è il gruppetto alla mia destra, la frangia estremista del parterre.
A questo punto decido che per oggi è molto meglio chiudere qui la rassegna stampa e passare a una bella ginnastica dolce.


lunedì 12 ottobre 2015

Eccoci pronti con la nostra attesissima rubrica del lunedì, oggi in compagnia di Livio, un Harry Potter un po' più paffuto e spaesato. 


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Dovreste vederlo Livio, sembra precipitato allo Sportello Ascolto direttamente da Hogwarts. Infatti assomiglia in tutto e per tutto a un Harry Potter più paffuto e spaesato.
“L’altro giorno ho preso un bel sette in matematica e Mario mi ha regalato due bambole…” mi fa Livio.
“Chi è Mario?” gli domando.
“Mario è mio padre, lo chiamo per nome perché mi ricordo di lui negativamente”.
“Spiegami meglio”.
“Quando ero piccolo si arrabbiava molto e mi metteva in uno sgabuzzino al buio. Avevo una paura!”, si aggiusta gli occhialini e tira su con il naso, “Cercavo di arrivare alla maniglia ma non ci riuscivo”.
“Deve essere stato terribile” gli dico.
“Già” annuisce rammaricato, “e adesso ho paura del buio. Dormo con le mie bambole e una lucina”.
“Le tue bambole?” gli faccio eco.
“Sì, ho la camera piena di bambole e ogni volta che prendo un bel voto i miei me ne regalano una” mi spiega, “ma non è di questo che voglio parlarti…”.
“Di cosa vuoi parlarmi?”.
“Di Mario, perché ho un brutto rapporto con lui, anche adesso. Non sa fare niente, è pigro e io avrei voluto che facesse un lavoro più difficile, non so magari che si prendesse una laurea”.
“Mi pare di capire che non stimi molto tuo pad… ehm, Mario” mi correggo.
Livio tira su con il naso e scuote la testa, “Per niente, per niente. E non stimo nemmeno mia madre. Sta sempre chiusa in casa, non ha rinnovato nemmeno la patente, esce solo con la nonna per fare la spesa”.
Sto per intervenire quando Livio mi anticipa, “E poi c’è una cosa che non capisco di Mario” e aggrotta le sopracciglia.
“Dimmi”.
“Quando andiamo al parco prende su la macchina fotografica”.
“Beh si vede che gli piace fotografare i paesaggi”.
“Non proprio” e scuote la testa, “fotografa le ragazze che corrono ma non capisco perché le fotografa da dietro e non dal davanti”.
Io forse lo capisco il perché, penso ma non glielo dico: meglio che rimanga a Hogwarts ancora per un po’. 

venerdì 9 ottobre 2015

Ecco a voi la prima puntata di un breve racconto dal titolo "Incontri ravvicinati del quarto tipo" che ci terrà compagnia per i prossimi tre venerdì.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Prima puntata


La verità è che stanotte non ho voglia di niente, mi gira la testa, ho pure un po’ di nausea e per di più tra cinque ore ho il Battesimo della mia sorellina Rebecca, la nuova figlia di mio padre e lasciamo perdere chi è la madre. Katia da Bucarest che ha la mia età ma soprattutto venticinque anni in meno di mio padre. Comunque alla fine mi tocca pure fare il padrino e a dirla tutta non so con criterio abbiano scelto proprio me che con la chiesa non c’entro niente. Forse per farmi prendere almeno una, anche se piccola, responsabilità. E vi dirò di più, stavolta mi sono messo in testa che non voglio deludere nessuno.
Sta di fatto che ora devo sbrigare un’ultima faccenda prima di ridurmi finalmente a casa.
Sono le tre di notte e sto guidando con circa otto shortini e un paio di cannette in circolo, che se mi fermano mi ritirano la patente per almeno tre vite. A fianco c’ho Svetlana, Oxana, o come diavolo si chiama questa qua che sta cantando a squarciagola una canzone di Alessandra Amoroso. Già che io odio Alessandra Amoroso.
Il suo nome me l’ha pure detto sui divanetti della discoteca ma punto uno non mi interessava granché, punto due mi ero già fumato due canne quindi ero nel mio mondo, punto tre eravamo proprio sotto la cassa e non capivo niente.
Che poi alla fine è tutta colpa del Vecio.
Anzi la colpa è solo la mia che gli do ancora corda dopo quindici anni che lo conosco e non è cambiato di una virgola e forse non cambierà mai. Come si fa alla mia età con una laurea in scienze politiche e, perché no, una certa cultura, ritrovarsi in giro per discoteche tutti i santi sabati con uno che si sfonda di canne e parla solo di fica?
Perché il Vecio è fatto così, passa il tempo ma lui ha sempre sedici anni e la solita faccia da schiaffi. Prendi stasera. E’ al bar di suo cugino, a un certo punto entra un gruppetto di rumene o polacche o comunque dell’est, si mette a intortarle e in cinque minuti le carica in macchina. E quando siamo in discoteca cosa fa? Mi butta tra le braccia la più mignotta di tutte e mi dice all’orecchio “Hai visto che regalino ti ha fatto il Vecio?”. Per alcuni può anche essere un bel regalino ma per me che ho trent’anni e sono alla ricerca di una ragazza seria è un dispetto bello e buono. E il Vecio sembra che faccia di tutto per impedirmi di cambiare rotta e di sistemarmi una volta per tutte.
Infatti Svetlana, Oxana, diciamo che d’ora in poi la chiamerò l’Idrovora, è una da battaglia, non aspetta nemmeno che mi presenti e già comincia a limonarmi pesante e dopo cinque minuti mi sbatte sui divanetti, si alza la gonna e mi sale a cavalcioni. E io quasi mi vergogno e per fare vergognare me dopo due canne e quattro shortini vi assicuro che ce ne vuole.
Addirittura mi urla all’orecchio che vuole farlo nel cesso e allora prende a trascinarmi per un braccio. Ma c’è un limite a tutto, così le dico di no ma lei continua a ridere e non molla mica. Allora le do uno strattone e finalmente capisce che non deve insistere. Per un po’ fa pure la risentita e mi dice che per essere un italiano sono un ragazzo serio. Non so se prenderlo come un complimento ma preferisco non approfondire.
Per farmi perdonare, perché mi sento pure in colpa per lo strattone, le offro non uno, ma quattro shortini e nel portafoglio non mi rimane più un euro nemmeno per un’offerta in chiesa.
Quando verso le due mezza le dico che devo proprio andare l’Idrovora fa la faccia disperata e mi chiede se l’accompagno a casa perché quelle stronze delle sue amiche sono scomparse nella pineta con il Vecio.
Io allora capisco già come andrà a finire, che se me la carico in macchina non mi riduco a casa prima delle otto quindi praticamente faccio il dritto. 

mercoledì 7 ottobre 2015

Eccoci pronti con la consueta rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri agguerritissimi vecchietti.



SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO



Ci siamo lasciati la scorsa puntata, qui nella sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd, con il nostro Piero in procinto di raccontare una storia sui preti.
“Avevo dieci anni” esordisce, “a quel tempo il nostro prete era Don Antonio, un omone gigante, con due spalle così e il naso a patata sempre tutto rosso. Quando si arrabbiava c’era da avere paura, gli si infuocavano gli occhi e cacciava degli urli che tirava giù il campanile. Io ero un cristiano modello, tutti i sabati a catechismo e tutte le domeniche alla messa delle nove e mezza con la nonna. Qualche volta facevo addirittura il chierichetto ed è stato proprio in una di quelle occasioni che è successo…” e si lascia scappare una smorfia di disgusto.
“Te la senti di andare avanti?” gli chiedo.
“Certo, certo” risponde e poi prosegue, “Ecco, quando facevo il chierichetto passavo tra le panche con il cestello di vimini per raccogliere le offerte. E quella domenica sono salito al primo piano per lasciare tutto il ricavato nella stanza del Don. Busso ma non risponde nessuno, io però decido di entrare lo stesso e vi giuro che mi sembra di sentire ancora la puzza di naftalina che c’era là dentro. Comunque mi avvio di fretta verso l’armadio, apro l’anta, appoggio il cestello e quando mi volto chi mi trovo davanti?”.
“Chi ti trovi davanti?” domanda la signora Irma tutta presa dal racconto nemmeno stesse leggendo un libro di Agatha Christie.
“Chi vuoi che si trovi davanti!?! Don Antonio!” esclama la signora Mafalda che mi fa tornare in mente Spino, un mio vecchio amico a cui piaceva anticipare i finali dei film.
“Proprio Don Antonio!” conferma Piero, “Stava lì a due centimetri da me con quell’alito che sapeva di aglio e mi sorrideva”.
“E poi?” lo sollecita la signora Irma.
“E poi mi chiede, me lo fai vedere?”.
“Che cosa gli dovevi far vedere?” è sempre la signora Irma a incalzarlo.
“La stessa domanda che gli ho fatto io, cosa le devo far vedere Don?, ma non mi ci è voluto molto per capirlo perché ha allungato quelle sue ditacce nodose verso di me e allora io, non so ancora come, ho avuto la forza di scappare via mentre lui diceva, Dio ti punirà per questo! Ma attenzione, non è finita qui”.
“Non è finita qui!?!” gli fa eco la signora Irma in piena suspense.
“Mi sono nascosto in un angolino e quando Don Antonio era proprio sul ciglio delle scale gli ho dato una spinta e lui è rotolato giù per una rampa intera. Si è rotto tre costole, il bacino e la gamba destra”.
“Bravo signor Piero!”, è sempre la signora Irma, in piena catarsi, a intervenire.
“E da quel giorno io non ho messo più piede in una chiesa!”, esclama risoluto, “Nemmeno per il matrimonio di mia figlia!”.
“L’ho sempre detto che i preti sono peggio degli altri” conclude in bellezza la signora Giuliana. 

lunedì 5 ottobre 2015

Oggi nella nostra consueta rubrica del lunedì conoscerete Nina, una bellissima ragazza marocchina, alle prese con grandi dilemmi.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?

Nina è una ragazza marocchina, bellissima. Più che una studentessa sembra una velina: alta, magra, con i capelli neri che le cadono sulle spalle come una nuvola d’inchiostro. Quando cammina per i corridoi della scuola sembra che sfili e sa bene che tutti, nessuno escluso, si girano a guardarla.
Ora è qui allo Sportello, di fronte a me, e la sua espressione può essere descritta con un ossimoro: malinconicamente sorridente.
“In Marocco non vivevo bene” mi dice, “non appartengo più a quel paese, non so a che paese appartengo, non so nemmeno quale sia la mia identità”.
“Mi pare di capire che ti senti come in una terra di mezzo” le faccio.
“Proprio così”, esita un attimo, “se qui mi comporto come marocchina non mi trovo ma se prendo la mentalità italiana poi non sono più accettata dai miei”.
“Tu, Nina, cosa vorresti?” le domando.
“Io per esempio ho tanti sogni, vorrei fare la modella, mi piace stare al centro dell’attenzione, essere fotografata” sorride un po’ imbarazzata, “ma i miei non lo accetterebbero perché vogliono che io mi comporti da Mussulmana”.
“Cosa succederebbe se tu seguissi i tuoi sogni?”.
“Perderei il rapporto con i miei e soprattutto con mio padre” si commuove, “io vivo per rendere fiero mio padre… eppure… ”.
“Eppure?”.
“Eppure non voglio fare la fine delle donne della mia famiglia”.
“Cioè?”.
“Sono tutte insoddisfatte e io so bene che rimpiangono il loro passato per non aver fatto quello che desideravano. E poi io non voglio mettermi il velo”.
“I tuoi vorrebbero che lo portassi?”.
“Sì, ma non è che se lo porti sei migliore. Te lo devi sentire e io ora non lo sento. Quando sono tornata in Marocco tutte avevano il velo e io mi sentivo emarginata, così ho pensato di metterlo anch’io ma poi una volta tornata in Italia ho cambiato idea”.
Rimaniamo un attimo in silenzio poi mi fa, “Sai che parlando ad alta voce ho capito una cosa?”.
“Quale?”.
“Non voglio essere marocchina”.

venerdì 2 ottobre 2015

Eccoci pronti con la rubrica del venerdì e con il capitolo conclusivo del “nostro” breve racconto.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Terzo, e ultimo, tempo






Ansimi ancora quando l’autobus riparte e mentre cerchi un seggiolino vuoto incroci lo sguardo vispo di una bambina con un foulard colorato che le fascia la testa. Avrà ad occhio e croce dieci anni.
“Ti siedi vicino a me?”, ti domanda in un modo così semplice e ingenuo che tu le rispondi sorridendo, “Certo, volentieri”.
La bambina si fa chiamare Dorothy, ha la pelle bianchissima e due occhi celesti, furbi e schietti.
“Ascoltiamo un po’ di musica insieme?” chiede porgendoti un auricolare dal suo ipode rosa.
Sono le nove e la luce è quella del mattino, in primavera, su Cesena.
Lei ora è poggiata al vetro del finestrino, ogni tanto ti guarda e ti sorride, è una bambina dolce, e pensi che ti piacerebbe se fosse tua sorella.
Ti soffermi sui suoi lineamenti delicati e scopri che non ha le sopracciglia ma solo due lembi di pelle bianca e tenera. Poi le fissi i polsi, sono così sottili e fragili che potrebbero spezzarsi al primo soffio di vento.
A un certo punto ti dice che vorrebbe dedicarti una canzone e ti regala uno dei suoi soliti sorrisi. Ti fa sentire "Non l’hai mica capito" di Vasco Rossi ed è contenta quando si rende conto che la conosci e la canticchi a bassa voce. E a te sembra così bello che una bambina ascolti Vasco Rossi, intendi questo genere di canzoni di Vasco Rossi.
Subito dopo passa “Albachiara” e tu guardi Dorothy che ora osserva le colline verdi di Cesena, con un mezzo sorriso indelebile, stampato sulla faccia come un sottofondo.
Deve avere pensieri buoni di continuo, forse solo una bambina ce la può fare. E quando i tuoi occhi registrano l'impressione visiva del foulard variopinto insieme alla maglietta rosa semplice e al jeans un poco scolorito, pensi che le bambine di dieci anni sedute così, al sole, ingenue e delicate, sono delle Albechiare tutte, tutte quante.
All’improvviso ti chiede perché non sei a scuola con una curiosità pacifica e tu un po’ imbarazzato le dici che certe persone ti hanno fatto arrabbiare e hai deciso di andartene via.
Ti fa notare come non si possa scappare da scuola perché poi i genitori si preoccupano.
Preferisci sviare e le chiedi cosa ci fa lei, alle nove di mattina, sull’autobus, ad ascoltare Vasco Rossi.
“Sto andando a fare le cure con mia mamma” ti dice Dorothy indicando una donna dimessa, sui quarant’anni, che se ne sta seduta nel posto a fianco. Ha gli occhi gonfi, sofferenti, e sfoglia dei fascicoli, forse dei referti.
Dorothy ti dice di non fare caso a mamma, “E’ sempre così nervosa da quando mi sono ammalata”.
Prima che tu le possa rivolgere qualunque tipo di domanda ti chiede dove stai andando.
“Vado in Maremma dai miei zii, a coltivare i girasoli”.
“Adoro i girasoli, vorrei tanto venire con te!” esclama con gli occhi sognanti.
“Magari un giorno mi raggiungi” e le fai l’occhiolino.
Nemmeno questa volta ti lascia il tempo per una domanda.
“Da grande cosa vuoi fare?” ti incalza.
Ci pensi un attimo.
“Voglio diventare Spiderman, mettermi una maschera rossa e andare in giro a salvare la gente. Così se un giorno avrai bisogno arrivo io e ti salvo”.
Dorothy ti sorride ancora, in modo bello, apre lo zaino quindi prende un foglio bianco e un astuccio rosa pieno di colori.
“Però tu non guardare” ti dice maliziosa chinandosi sul foglio.
“Non guardo, promesso!”.
Finisce il disegno. E’ il suo regalo per te.
C’è Spiderman che ha imbrigliato con la sua ragnatela un mostro che vuole fare del male a una ragazzina.
“Promettimi che se quel mostro torna tu verrai a salvarmi…”.
Un brivido ti attraversa la pelle, non puoi fare a meno di abbracciarla e sussurrarle all’orecchio, “Te lo prometto”.
Quando arriva il momento di scendere, mamma schizza in piedi e sollecita la figlia ad alzarsi. La donna ti fissa ma ti senti come invisibile per i suoi occhi vuoti, stanchi anche di piangere.
Dorothy si alza, si aggiusta il foulard sulla testa, si mette lo zaino in spalla quindi si avvia dietro alla mamma.
Quando le porte si chiudono ricerchi il suo sguardo dal finestrino, anche lei sta cercando il tuo, ti manda un bacio e tu sorridi.
Appoggi la testa al vetro, sono appena le dieci, in poche ore la tua vita è cambiata. Ripensi a Dorothy e alla promessa che le hai fatto, forse la tua strada ora è un po’ più chiara e sei convinto che i percorsi della vita ti porteranno a mantenere quella promessa.
Sarai lo Spiderman di quartiere e proteggerai tutte le Albechiare, tutte quante.