mercoledì 23 dicembre 2015

Dopo qualche settimana di assenza, eccoci nuovamente in compagnia dei nostri vecchietti sempre più agguerriti.

SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO

Oggi qui nella sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd sto raccontando dell’ondata di furti che da qualche mese sta travolgendo Cesena e che, accidenti, ha visto coinvolto anche il sottoscritto a cui dei simpatici soggetti non identificati hanno forzato la portiera della macchina e prelevato dal bagagliaio computer e navigatore.
“Quella roba non la ritroverai mai più!” mi conforta Piero dalla sua postazione accanto alla finestra.
“Proprio così” annuisco sconsolato.
“E quei bastardi la faranno franca come sempre!” si indigna sbattendo il pugno sul tavolino.
“Tanto sono stati quei rumeni e quei marocchini!”, è l’immancabile e dolcissima signora Irma a intervenire.
“Questo non lo so, potrebbe essere stato chiunque” le specifico.
“No no, sono stati loro sono sicura!” alza la voce, “Vengono qua da noi per rubare e uccidere!”.
Valà che se ci fosse stato il Duce!” salta su la signora Mafalda che oggi sfoggia una collana di pietre celesti che ha vinto domenica alla tombola della pro loco.
“Se ci fosse stato il Duce?” domando.
“A questi marocchini li avrebbe riempiti di botte e poi li avrebbe spediti tutti nel loro paese!” si infervora.
“Eh sì” si intromette la signora Irma, “era meglio quando c’era il Duce… adesso non si dorme più sicuri e poi a questa gentaccia non ci fanno niente, il giorno dopo sono già liberi”.
“Una volta rubavano i conigli e i polli, adesso rubano tutto!” rincara la signora Mafalda.
“Altroché Renzo o Berlusconi, il Duce avrebbe già risolto la situazione!” sancisce Piero rifilando un altro pugno sul tavolino.

lunedì 21 dicembre 2015

Eccoci prontissimi con la nostra rubrica del lunedì in compagnia di Agnese, dei suoi ricordi e delle sue paure.

LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?

“Sai da piccola qual era la mia più grande paura?” mi chiede Agnese con lo sguardo basso e i capelli a coprirle una parte del viso come un sipario, “Che i miei si lasciassero”.
“Ne hanno mai parlato di lasciarsi?” le domando.
“Certo, quando andavo alle elementari litigavano quasi ogni giorno”.
“Quali erano i motivi?”.
“Mamma diceva che papà andava con le altre donne, anzi, con quelle donnacce”.
“Quindi in casa c’era un clima molto pesante”.
“Proprio così” risponde Agnese che ora alza la testa mostrando due occhi gonfi di lacrime e il trucco lievemente sbaffato, “Allora io dicevo che mi faceva male la pancia così attiravo l’attenzione su di me e smettevano di urlare”.
“E funzionava?”.
Agnese annuisce quindi mi fa con un sorrisetto, “Pensa che quando ero in camera giocavo a che i miei litigavano e papà se ne andava di casa mentre mamma si prendeva cura della sua piccola bambina. Ricordo anche che mamma era una Winx senza una gamba e papà un Power Rangers senza un braccio”.
“La storia però è andata diversamente, i tuoi sono rimasti insieme” le faccio.
“Sì, ma a volte è come se mi sentissi in colpa”.
“Perché Agnese?”.
“Perché forse mamma è rimasta in casa per me e magari se papà se ne fosse andato, sarebbe stata più felice”.
“Secondo te mamma non è felice?”.
“Mamma non è mai stata felice”.
   

lunedì 14 dicembre 2015

Oggi, nella nostra rubrica del lunedì, conosciamo Lena, una bellissima ragazza marocchina alle prese con una crisi d’identità.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Lena è una ragazza marocchina, bellissima. Più che una studentessa sembra una velina: alta, magra, con i capelli neri che le cadono sulle spalle come una nuvola d’inchiostro. Quando cammina per i corridoi della scuola sembra che sfili e sa bene che tutti, nessuno escluso, si girano a guardarla.
Ora è qui allo Sportello, di fronte a me, e la sua espressione può essere descritta con un ossimoro: malinconicamente sorridente.
“In Marocco non vivevo bene” mi dice, “non appartengo più a quel paese, non so a che paese appartengo, non so nemmeno quale sia la mia identità”.
“Mi pare di capire che ti senti come in una terra di mezzo” le faccio.
“Proprio così”, esita un attimo, “se qui mi comporto come marocchina non mi trovo ma se prendo la mentalità italiana poi non sono più accettata dai miei”.
“Tu, Lena, cosa vorresti?” le domando.
“Io per esempio ho tanti sogni, vorrei fare la modella, mi piace stare al centro dell’attenzione, essere fotografata” sorride un po’ imbarazzata, “ma i miei non lo accetterebbero perché vogliono che io mi comporti da Mussulmana”.
“Cosa succederebbe se tu seguissi i tuoi sogni?”.
“Perderei il rapporto con i miei e soprattutto con mio padre” si commuove, “io vivo per rendere fiero mio padre… Eppure… ”.
“Eppure?”.
“Eppure non voglio fare la fine delle donne della mia famiglia”.
“Cioè?”.
“Sono tutte insoddisfatte e io so bene che rimpiangono il loro passato per non aver fatto quello che desideravano. E poi io non voglio mettermi il velo”.
“I tuoi vorrebbero che lo portassi?”.
“Sì, ma non è che se lo porti sei migliore. Te lo devi sentire e io ora non lo sento. Quando sono tornata in Marocco tutte avevano il velo e io mi sentivo emarginata, così ho pensato di metterlo anch’io ma poi una volta tornata in Italia ho cambiato idea”.
Rimaniamo un attimo in silenzio poi mi fa, “Sai che parlando ad alta voce ho capito una cosa?”.
“Quale?”.
“Non voglio essere marocchina”.


lunedì 7 dicembre 2015

Dopo una settimana di silenzio forzato eccomi di nuovo prontissimo con la rubrica del lunedì. Oggi siamo in compagnia di Federico e di un gruppo di bulli.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Se non fosse per quella striscia di baffetti neri e incustoditi Federico dimostrerebbe meno dei suoi quattordici anni. Ma i marchi di fabbrica che me lo rendono buffo e tenerissimo allo stesso tempo sono il maglione a rombi, l’occhialino tondo e i capelli schiacciati sulla fronte alla John Lennon.
Un ragazzino vintage lo definirei.
“Mi sono successi dei fatti spiacevoli in autobus” sospira, “da parte di certe persone che conosco e che pensavo amiche”.
“Dimmi pure” annuisco.
“C’è un gruppo di ragazzi della mia zona che mi ha preso di mira. Hanno cominciato a nascondermi lo zaino sotto i seggiolini, mi rubano la merenda e l’altro giorno mi sono spariti cinque euro” e diventa rosso quasi come se si vergognasse.
“Accidenti, è un fatto grave” gli dico.
“Più vedono che mi arrabbio e che come uno scemo mi metto a cercare lo zaino per tutto l’autobus, più continuano… per non parlare delle prese in giro”.
Deve costargli un grande sacrificio rivelarmi questi avvenimenti perché ha la bocca impastata e gli trema la voce.
“Che tipo di prese in giro?” domando.
“Bé mi dicono che sono uno sfigato, che ho la forfora e che mi vesto alla caritas” sospira.
“E tu cosa rispondi?”.
“Un giorno mi sono messo a piangere e loro hanno cominciato a dirmi, povera stella dai vai a piangere da mammina… da un po’ invece cerco di fare finta di niente magari se la smettono”.
“Ne hai parlato con qualcuno?”.
Federico abbassa lo sguardo e scuote la testa, “No, mi vergogno, magari se lo dico ai miei loro si attivano, magari li denunciano e quelli si vendicano su di me. E poi…” sospira ancora.
“E poi?” gli faccio eco.
“E poi forse è vero che sono uno sfigato, dai guardami, sono un sempliciotto, un campagnolo, le ragazze non mi guardano nemmeno per sbaglio e sono pure timido e magari anche un po’ troppo permaloso”.
“Federico” e divento molto serio, “guardami negli occhi. Tu non sei assolutamente sfigato, anzi, sei sensibile, educato ed è un piacere parlare con te”.
Lui mi guarda come a dire, Davvero?.
“E non devi assolutamente vergognarti di nulla” continuo, “anzi devi camminare a testa alta. Hai fatto benissimo a venire da me e d’ora in poi ogni volta che succede un fatto del genere tu ne parli con i tuoi, con i prof o ritorni qui allo Sportello. Promesso?”.
“Promesso” e gli scappa un sorriso, poi riprende, “Lo sai che mi ha fatto bene parlarne, è come se quel groppo che avevo qui nel petto si fosse sciolto e ho anche meno paura adesso”.
Mentre Federico si alza e mi stringe la mano gli dico, “Bravo, sono contento che ti sia fidato di me”.




mercoledì 25 novembre 2015

Eccoci pronti con la rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri adorabili vecchietti che oggi celebrano la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Oggi nella sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd anche la nostra banda di (s)pregiudicati vecchietti celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
“C’è sempre stata!” ringhia la signora Irma, “Mi sembra di rivedere mio nonno proprio qui, pace all’anima sua”.
“E cosa faceva?” le domando.
“Picchiava a matto la nonna!” esclama con gli occhi spaventati di una bambina, “Ce l’ho ancora davanti, sbiadita, pallida e livida. Sembrava quasi una morta per tutte le botte che prendeva. Pensa che le sue figlie le preparavano una sedia se no cadeva per terra”.
“Qualcuno la difendeva?” le chiedo.
La signora Irma dopo un lungo sospiro scuote la testa, “No, perché poi le prendevano anche loro. Però una volta mi ci sono messa in mezzo io”.
“Accidenti che coraggio” le dico.
“Ho urlato, Basta di picchiare la nonna!, allora lui si è bloccato un attimo poi mi ha minacciato che se non me ne fossi andata via me le avrebbe date anche a me e si è messo la mano sulla cinghia. Io allora sono scappata a casa e ho raccontato tutto a mia mamma”.
“E lei?”.
“Ha detto, E’ vecchio strocco ma quel rospaccio continua a menare la nonna!”.
“Il nonno a te le ha mai date?” le chiedo.
“Non mi ha mai sfiorato e non ha mai sfiorato nemmeno i suoi figli… batteva solo la nonna” sospira con gli occhietti ancora spaventati, “Pace all’anima sua”, ripete come se si sentisse in colpa per aver macchiato il suo ricordo.
“Ringrazio la signora Irma per la sua testimonianza e volevo chiedere perché secondo voi si scatena nell’uomo questa violenza nei confronti delle donne”.
“Perché gli uomini sono arroganti!” interviene la signora Giuliana con un cerchietto celeste nuovo di zecca.
“Perché si ubriacano e perdono la testa!”, è la disamina sociologica della signora Mafalda.
“Perché sono gelosi e vedono cose che non esistono” interviene la garbata signora Pia.
“Va là che siete voi che andate in giro a fare le… ci siamo capiti, no? E poi vi lamentate se gli uomini si arrabbiano!” interviene Piero ferito da chissà quale trauma passato.
“Quindi secondo te l’uomo è giustificato a usare la violenza?” lo provoco.
Piero allora inaspettatamente si fa mansueto e scuote la testa, “No, no, le donne non si toccano nemmeno con un fiore… e quei bastardi che picchiano le donne li metterei in galera tutti e butterei la chiave nell’oceano!”.
Ed è così che dal parterre si alza un applauso convinto. 




mercoledì 18 novembre 2015

Oggi, nella consueta rubrica del mercoledì, tristezza, preoccupazione e rabbia si mischiano negli animi dei nostri adorabili vecchietti.


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Gli effetti dei drammatici eventi Parigini si fanno sentire anche nella psiche dei nostri adorabili vecchietti. Siamo nella solita sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd e mentre ripercorro le tappe del famigerato 13 novembre il parterre comincia a surriscaldarsi. Vedo volti tristi, occhi preoccupati e smorfie di rabbia.
“Io a quei terroristi gli taglierei la gola e gli metterei la testa di un baghino!” , a intervenire è un indignatissimo Piero che ieri sera si è fatto un’overdose di Salvini su Rai 3.
“Bisogna buttarci delle bombe a quelli lì e farli fuori tutti!”, non poteva mancare l’intervento moderato della signora Irma.
“E poi dobbiamo chiudere le frontiere con il filo spinato e se passa qualcuno lo fai fuori!” è ancora Piero a cavalcare l’onda della rabbia.
“A me mi hanno ammazzato mio fratello”, a parlare con gli occhi lucidi è la signora Giuliana.
“Ma come?” domando io sorpreso.
“L’hanno preso a Ciola di Mercato Saraceno e l’hanno fucilato, perché quelli fanno così” mi spiega.
“Eh sì, ai tempi della seconda guerra mondiale purtroppo succedeva così” sospiro.
“Macché ai tempi della seconda guerra mondiale!” si infervora la signora Giuliana, “L’hanno ucciso qualche giorno fa quei maledetti!”.
“Quei maledetti?” faccio eco.
“Sì sì quei maledetti, i terroristi Islamici” specifica.
“Ma che cazzo dice questa!?!” si intromette Piero.
“Vi dico che è così! Si chiamava Moroni Sesto” insiste la signora Giuliana.
“Ma chi te l’ha detto?” le chiedo.
“L’hanno detto ieri alla televisione. C’erano tutte quelle bombe e quegli spari e a un certo punto hanno detto che Moroni Sesto aveva perso la vita” e quasi le scappa una lacrima.
“Ma non dire cazzate!” è sempre Piero a ribattere.
“Ti dico che è così!”, ora la signora Giuliana urla.
“Va bene” le faccio con un tono calmo e rassicurante, “adesso io e te chiamiamo casa e sentiamo se hanno informazioni più precise, d’accordo?” le domando.
La signora Giuliana scuote la testa, “Va bene chiamiamo, ma tanto so già che è morto”.

  

lunedì 16 novembre 2015

Prontissimi con la nostra rubrica del lunedì in compagnia di Roberto, un futuro pescatore.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Roberto ha quattordici anni ma ne dimostra almeno un paio di meno. Con quei capelli ruffi, gli occhi veloci e una esse romagnola doc non può che suscitare simpatia.
“A tredici anni è difficile scegliere la scuola e questa, per uno come me, è troppo difficile, cioè c’è troppo da studiare” mi dice a un certo punto, “è che alle medie ti costringono a prendere una decisione e allora cosa fai? Se sei fortunato hai già le idee chiare e non hai problemi, altrimenti o segui i tuoi amici o fai quello che dicono i tuoi genitori”.
“E tu a quale categoria appartieni?” gli chiedo.
“Io sono un po’ fuori categoria, cioè so cosa voglio fare da grande quindi una scuola vale l’altra e allora ho dato ascolto al consiglio di mio papà”.
“E cosa vuoi fare da grande?”.
“Il pescatore!” mi risponde deciso, “D’altronde quando cresci in una città di mare e hai un nonno che fin da piccolo ti porta a pescare è facile che ti appassioni”.
“Certo” annuisco, “ma i tuoi sono d’accordo?”.
Roberto fa una smorfia e su quegli occhietti veloci cala un velo di tristezza, “Mio padre non è molto d’accordo, vorrebbe che studiassi, ci tiene parecchio che vado a scuola ma io voglio solo la mia barca e le mie reti e sono felice così”.
“Secondo te perché papà vuole che tu studi?” gli domando.
“Dice che non devo fare il somaro come lui che è stato bocciato due volte e in terza media ha smesso. Mi ripete sempre che se studio ho un futuro migliore e non mi devo spaccare la schiena come se la sta spaccando lui”.
“Tu cosa avresti voluto fare?”.
“Dai, un professionale, dove basta poco per andare bene, qua invece devi impegnarti di brutto e io non ne ho voglia però provo ad andare avanti” mi dice poco convinto.
“Per tuo papà?”.
“Sì per lui e basta perché se fosse per me avrei già cambiato scuola”.




mercoledì 11 novembre 2015

Eccoci puntualissimi con la nostra rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri adorabili vecchietti.


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


 Oggi qui nella sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd si affronta un tema molto delicato: la droga. E vi assicuro che la banda dei nostri (s)pregiudicatissimi vecchietti non ha nulla da invidiare ai vari Crepet, Andreoli e Morelli.
“Perché un ragazzino entra nel tunnel della droga?” esordisco io.
La signora Mafalda si schiarisce la voce con un bel colpo di tosse grassa e risponde, “Perché si vede che c’è qualcosa che non va, forse sono stufi della vita”.
“A sedici anni si può essere già stufi della vita?” domando.
“Magari non hanno amici, litigano con i genitori e vanno male a scuola e allora finiscono per drogarsi” spiega la signora Mafalda.
“Quindi ci si droga per delle mancanze?”.
Valà che non va bene drogarsi!” è l’immancabile signora Irma a prendere la parola con la sua proverbiale moderazione, “Adesso sono tutti così, una volta eravamo più seri, non esistevano tutte queste pazzie che fanno i ragazzi di oggi!”.
“Quali sono le pazzie che fanno i ragazzi di oggi?” le domando.
“Tutta questa droga, tutto questo sesso e tutta questa delinquenza!” si sdegna, “Una volta c’era più allegria, adesso ci sono più pensieri cattivi! Valà che noi dovevamo lavorare e non c’era tempo per tutte queste delinquenze!”.
“Per me” interviene con il solito garbo la signora Pia, “i ragazzi trovano nella droga quell’ebbrezza, quella gioia di vivere che nella loro vita non c’è… anche se per poco, per qualche minuto al massimo…”.
A questo punto mentre penso che la signora Pia con la sua cataratta appena operata potrebbe benissimo sostituire Crepet nei vari talk show le domando, “Ma perché hanno bisogno di provare questa ebbrezza di qualche minuto?”.
“Perché la vita è piuttosto dura, amara e cercano un diversivo” spiega.
“Sono tutte sciocchezze!” tuona Edmondo dall’ala destra, “I drogati sono come la malerba!
“La malerba?” faccio io.
“Sì sì la malerba che c’era in campagna” ribatte deciso Edmondo, “che se non la strappavi o non gli davi il veleno ti mangiava tutto il raccolto. Ecco, i drogati distruggono la società e vanno strappati via proprio come la malerba!”.
“Bé, ma possono guarire, non credi?” gli domando.
“No no” fa muovendo l’indice a destra e sinistra come un pendolino, “un drogato rimarrà drogato per sempre!”.




lunedì 9 novembre 2015

Siamo pronti con la nostra rubrica del lunedì in compagnia di Matilde e della sua paura di rimanere sola.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Oggi ho davanti a me Matilde, una ragazza di sedici anni con i capelli neri e le meches azzurre ma soprattutto due grandi occhi tristi.
“Dalle elementari mi considerano un’asociale” mi dice.
“E tu credi che sia così?”.
“Sì, credo che sia vero, non volevo parlare con nessuno”.
“Perché, Matilde?”.
“E’ molto difficile parlare con le altre persone, e poi” esita un attimo, “e poi a me non piace legare”.
“Ti fa paura legare?”.
Matilde abbassa i suoi grandi occhi tristi e fa, “Da piccola mi dicevano che le cose fanno male”.
“Spiegami bene che cosa sono le cose… e scusa il gioco di parole”, le sorrido.
“Le cose sono i sentimenti e forse le persone, almeno credo io”.
“Quindi ti hanno detto che le cose fanno male e tu hai interpretato che fossero i sentimenti e le persone?”.
“Proprio così!”, rimane un attimo in silenzio, “Eppure…”.
“Eppure?” le faccio eco.
“Eppure quando è morta mia nonna e sono andata al suo funerale, c’erano pochissime persone e mi è venuta una grande paura…”.
“Quale?”.
“Di rimanere sola, di morire da sola, proprio come mia nonna” mi dice mentre le si inumidiscono i grandi occhi tristi.
“Quindi ricerchi la solitudine ma in realtà ne hai paura” le faccio.
Matilde annuisce e cerca con tutte le sue forze di trattenere le lacrime poi sussurra, “Scusa”.
“E perché mi chiedi scusa?”.
“Perché mi sono commossa”.

venerdì 6 novembre 2015

Eccoci pronti con l’ultima attesissima puntata del raccontino “Incontri ravvicinati del quarto tipo”.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Quinta puntata


Devo essere svenuto, sta di fatto che nella testa è come se avessi un blocco di ghisa e ho il naso che mi pulsa. Vicino a me giace Davidino e per fortuna non si è mosso di un millimetro. Chissà se è morto? Forse no, mi sembra che respiri, piano, ma respiri. Un fatto è certo, per uscire da quell’incubo devo sfilargli le chiavi dalla tasca.
Mentre mi avvicino alla sua zona inguinale me la faccio letteralmente sotto ma grazie al cielo il Bambino Gigante non fa una piega così mi posso dedicare all’Idrovora che non mi sembra se la passi tanto bene. Anzi a dir la verità sta ridotta un disastro, ha la faccia tumefatta, i capelli strappati e respira pure male ma è già tanto che respiri. Appena la scrollo spalanca gli occhi e caccia un urlo così forte che devo tapparle la bocca ché se ci si sveglia Davidino sono cazzi amari. Poi mi metto il suo braccio intorno al collo, la sollevo e finalmente riusciamo a uscire da quel mattatoio. Visto che ci sono prendo su anche due bambole così le regalo a Rebecca per il Battesimo e ci faccio pure bella figura. L’Idrovora deve avere qualcosa di rotto, forse la gamba o qualche costola perché sta tutta torta e a ogni passo si lamenta. Mi devo spaccare la schiena per farla scavalcare e alla fine riusciamo ad arrivare alla macchina.
Sono le otto e mezza, mi tocca portarla al pronto soccorso non posso mica presentarmi al Battesimo con questa messa così.
E se poi mi muore in macchina?
Bé, mi dico, con qualche infrazione al codice della strada riesco ad arrivare in tempo alla chiesa. Do un occhio all’Idrovora, penso che più che di un dottore avrebbe bisogno di uno psicologo perché sembra leggermente traumatizzata, se ne sta lì a gemere e fissa il vuoto con gli occhi stravolti.
Brucio tutti i semafori e sono di fronte al pronto soccorso alle otto e trequarti in punto. So che saranno già tutti in chiesa a guardare l’orologio e a dire che tanto si sapeva che non c’era da fidarsi di quel cazzone di Alessandro. Magari ora chiamo e li avviso che tra poco sono lì. Ma non trovo il cellulare, chissà dove diavolo l’ho perso. Forse è meglio, così potrò godermi le facce sorprese quando mi vedranno arrivare puntuale come non mai, con il sorriso sulle labbra e due bambole per Rebecca. Dovranno ricredersi su Alessandro!
Comunque entro al pronto soccorso e non mi fermo neanche all’accettazione, vado direttamente in sala d’attesa. Sistemo l’Idrovora su una sedia e le dico “Scusami tanto ma ho il Battesimo, magari ci si sente più avanti…”.
Occhei, la mia buona azione oggi l’ho fatta anche se devo avere qualcosa che non quadra perché la gente mi guarda tra lo schifato e l’impaurito. Forse e dico forse, sarà perché ho la camicia un po’ sporca di sangue e il naso gonfio. Ma poco importa, mi ributto in macchina e via verso la chiesa. Dovrei cambiarmi ma ovviamente non ho il tempo e poi in fondo non sono vestito così male, ho solo il piccolo problema della camicia sporca di sangue ma se mi infilo il giacchetto nessuno se ne accorge.
Le otto e cinquantasette e sono al parcheggio davanti alla chiesa, addirittura in anticipo. Sono fiero di me. Vedo la gente che si riversa dentro, prendo su le bambole, apro lo sportello e scendo, ma dopo nemmeno due passi una macchina della polizia con il lampeggiante blu mi si para davanti. Scendono due energumeni con gli occhiali da sole.
“Ci può seguire in commissariato?” mi fanno.
“Ma ho il Battesimo di mia sorella”.
“Se si muove sarà libero per il rinfresco”.
Non so perché però mi suona da presa in giro.
“Ma io…”, non faccio in tempo a protestare che mi spingono dentro.
Do un’ultima occhiata alla chiesa e mi viene da piangere.




mercoledì 4 novembre 2015

Eccoci con la consueta rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri (s)pregiudicati vecchietti. Oggi il tema è caldo e ha un solo nome: Berlusconi.


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO



Oggi qui nella sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd è bastato un solo nome per risvegliare dal torpore autunnale gli animi dei nostri terribili vecchietti.
E questo nome è Berlusconi.
Ad aprire le danze è la signora Irma, “Ah quel maiale!”
“Perché maiale?” la provoco.
“Andava con le donne del mestiere!” replica sdegnata.
“Ma chi sono le donne del mestiere?” le chiedo candidamente.
“Come chi sono!?! Le puttane dai!” sembra quasi spazientirsi per la mia ingenuità.
“Va là che andava anche con le ragazzine” interviene immancabile la signora Giuliana avvolta in uno scialle fiorato.
“Osta pure con le ragazzine!” mi stupisco.
“Sì con le ragazzine di tredici anni” mi specifica con una smorfia di disgusto.
“Ma no dai, di tredici anni non credo, magari un po’ più grandi” le dico.
Ma lei non sembra convinta, “Io sapevo che avevano tredici anni, me l’ha detto il signor Piero” e lo indica.
“Ma che cazzo dici!” scalda i motori Piero, “T’ho detto che erano minorenni, mica che avevano tredici anni… stavo parlando di quella marocchina là, mi sembra che si chiamava Rudy che poi l’ha sputtanato”.
Ruby” specifico, “lei credo che avesse poco meno di diciotto anni”.
“Ecco appunto, quella là non capisce mica un cazzo” e indica con la testa la signora Giuliana che rimane però convinta della sua affermazione.
“Comunque era anche un gran ladro!” salta su la signora Mafalda con l’indice puntato al cielo.
“A chi rubava?” domando io alla platea in fermento.
“A noi italiani!” esclama Piero.
“Capisco” faccio io, “ma qualcuno l’ha mai votato?”.
Dal parterre si alza un coro di “no” accompagnato dalle solite smorfie di disgusto.
“Va là che Berlusconi è meglio di Renzo, altroché!”, è Edmondo a comparire sulla scena con il cappellino dei Boston Celtics e la carrozzina alimentata a catetere.
Renzi si chiama” lo corregge Piero.
“Non me ne frega un cazzo di come si chiama” tuona Edmondo, “questo è solo un impostore! Invece Berlusconi sì che era un uomo vero e con lui l’Italia stava meglio e se andava a puttane faceva bene, ci andavo anch’io e ne vado fiero!”.
“Eh sì, Berlusconi è proprio un uomo vero” gorgoglio io mentre sulla sala polivalente cala il silenzio.   




lunedì 2 novembre 2015

Eccoci pronti con la nostra consueta e attesissima rubrica del lunedì in compagnia di Hamin e del suo incredibile cambiamento.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Hamin è abbonato allo Sportello Ascolto, in ogni scuola in cui ho lavorato me lo sono puntualmente trovato di fronte.
Mi ricordo ancora la prima volta che ci siamo incontrati, alle medie, se ne stava lì seduto con lo sguardo basso e le braccia conserte. Me lo aveva spedito la sua professoressa di italiano perché lo sgridassi un po’ anch’io visto che oltre ad avere un rendimento piuttosto negativo utilizzava il cellulare in classe per inviare foto di donne nude ai compagni. Quella volta Hamin non ci voleva venire neanche morto allo Sportello infatti all’inizio rispondeva a monosillabi. Poi quando aveva capito che non ero lì per sgridarlo né punirlo, come avevano fatto tutti gli altri, si era sciolto e mi aveva raccontato della sua difficoltà, in questi anni, ad ambientarsi nel nostro paese.
Quando oggi Hamin ha fatto il suo ingresso allo Sportello ci siamo messi a ridere e quasi quasi ci volevamo abbracciare come due vecchi amici che si rincontrano per la consueta rimpatriata annuale.
E questa volta ha scelto lui, spontaneamente, di venire da me.
“Sai cosa mi è successo?” mi fa Hamin, “Che mi sono accettato, ho conosciuto me stesso e ho capito che voglio essere felice”.
“Prima non lo eri?”.
“No, prima ero sempre insoddisfatto di me, non accettavo i miei genitori, non accettavo la mia cultura e non mi sentivo accettato dagli altri. Mi vergognavo di essere nato in Bangladesh e di avere questa pelle scura. Poi con il passare del tempo ho imparato a parlare con me stesso e mi sono accorto che il problema non erano gli altri, ma io stesso che non ero capace di accettarmi. Per esempio ho fatto pace con la mia infanzia e ho capito che è stata unica e originale, come sono unico e originale io”.
“Ti trovo veramente diverso, più maturo, più consapevole” gli dico molto entusiasta.
“Mi sento proprio così, più consapevole… poi ho imparato anche ad accettare i miei sentimenti e a dire quello che provo. E’ come se avessi il cuore pieno di affetto da donare agli altri”.
“E’ bellissimo quello che dici”.
“E poi sono venuto qui per salutarti…”.
Lo guardo interrogativo.
“La prossima settimana parto con la mia famiglia per l’Inghilterra, mio padre ha trovato lavoro a Londra”.
“Un grande cambiamento” gli dico.
“Eh già” sospira, “e non potevo non dirti grazie prima di partire”.
“Per cosa Hamin?”.
“Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati quando io facevo le medie?”.
“Certo” gli faccio.
“Ecco, sei stato il primo che non mi ha sgridato per quello che avevo fatto ma ha cercato di capirmi. Non sai quanto l’ho apprezzato”.
“Sono contento, davvero” e quasi mi commuovo. 



venerdì 30 ottobre 2015

Eccoci arrivati alla quarta, e penultima, puntata, della drammatica epopea notturna di Alessandro. Riuscirà a salvarsi la pelle e ad arrivare in tempo al Battesimo della sorella?


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Quarta puntata


L’Idrovora all’improvviso si mette a urlare come l’indemoniata dell’Esorcista allora il Bambino Gigante le molla un ceffone che le rivolta la faccia e lei finisce a terra mezza svenuta.
“Shhhh! Non urlare se no Dada e Dado si svegliano” si raccomanda sempre con quella vocina flebile.
“Scusa Davidino ma chi sono Dada e Dado?” mi informo abbassando a mia volta il tono.
“Sono Dado e Dada”.
Grazie al cazzo, penso ma è meglio tenere il pensiero per me quindi gli domando, “Ma i tuoi genitori non ci sono?”.
“No” e il poverino per poco non scoppia a piangere, “Ci sono Dada e Dado”.
“Ho capito ma dove sono ‘sti Dado e Dada?”.
“Là” e indica un angolo della stanza.
Mi volto, Dado, Dada e una mazza da baseball giacciono in un lago di sangue. E a giudicare dalla scena del crimine il Bambino Gigante ha fatto un fuoricampo con la testa di Dado.
Ecco che ora non sono più lucidissimo, gli scoppio a piangere in faccia e mi esce solo un disperato “Ma perché?!?”.
“Non volevano giocare a Monopoli” mi risponde candidamente.
Cerco di farmi forza e gli dico “Dai Davidino tira fuori ‘sto Monopoli e poi ti vado a prendere le bambole occhei?”
“Occhei” e sembra convinto.
“Promesso?” insisto.
“Promesso” mi fa e zampetta tutto entusiasta verso uno scaffale pieno di quelle maledettissime bambole.
L’Idrovora che sembrava semistecchita si rialza all’improvviso e purtroppo intuisco che sta per fare una cazzata mondiale. Così cerco di bloccarla ma lei si divincola come un’anguilla appena finita nella rete di un pescatore quindi si avventa sulla porta.
Che stupida!
Comincia a smanettare sulla maniglia poi una spallata e infine una raffica di calci disperati, ma niente, la porta non si apre.
Allora il Bambino Gigante lascia cadere il Monopoli a terra e in un attimo l’ha già afferrata per i capelli. A quel punto comincia a rotearla in aria poi la scaglia contro lo scaffale neanche fosse fatta di gomma piuma. Ma il Bambino Gigante non è soddisfatto e si mette a calciarla e se continua un altro po’ l’ammazza.
Ecco, io so che per avere qualche remota speranza di salvarmi la pelle me ne dovrei stare buono buono e farmi la mia partitina a Monopoli con Davidino Calvi ma questa volta non riesco a controllarmi così mi alzo e prendo la mazza di Joe Di Maggio intinta nel sangue di Dado e Dada. Senza pensarci troppo colpisco il cranio del Bambino Gigante e con l’adrenalina a mille gli urlo “Muoriii!”. 
Davidino sorpreso alle spalle emette un “Ahiiii!” in un terribile falsetto, barcolla, scrolla la testa poi si gira di scatto quindi mi rifila un pugno sul naso.
Cazzo me l’ha rotto! E mi ritrovo ancora per terra a tenermi il naso che butta sangue come un rubinetto. Ma il Bambino Gigante sembra ancora un po’ stordito così ho il tempo di rialzarmi, a dire il vero non so con quali forze, e lo colpisco di nuovo, una, due, tre volte, senza alcuna pietà né esitazione. Davidino comincia a ondeggiare con le braccia spalancate alla ricerca dell’equilibrio fino a che precipita inesorabilmente a terra. Il suo corpo produce delle scariche come una gallina a cui hanno appena tirato il collo ma poco dopo non si muove più. A quel punto crollo sulle ginocchia, sono esausto, mi gira la testa e il naso mi fa un male cane. Un conato di vomito poi non vedo più  niente.
Quando riapro gli occhi nella dependance c’è la luce del sole. La prima cosa che faccio è guardare l’orologio. Le 8.
Le 8!?!
Tra un’ora ho il Battesimo!

lunedì 26 ottobre 2015

Eccoci pronti con la consueta rubrica del lunedì in compagnia di una mamma molto ansiosa. Buona lettura!


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


“Sono qui per mio figlio, Dottore”, la signora L. è visibilmente ansiosa, “Marco è così chiuso, non ha amici, sta sempre in casa nella sua camera ad ascoltare la musica e giocare con quel maledetto computer”.
“Quindi non frequenta coetanei?”.
“A dir la verità uno lo frequenta… ma è un tipo strano, sfuggente, al massimo mi dice un ciao frettoloso e scappa via. Anche lui è appassionato di quegli stupidi giochini del computer”.
“Marco è sempre stato così?”.
“No, fino a un anno fa era più estroverso e più allegro, poi non so che cosa gli sia successo. E’ per questo che volevo venisse qui a fare dei colloqui con lei, ma…” e scuote la testa.
“Ma?”.
“Ma quando gliel’ho proposto sa cosa mi ha detto?” e le scappa un sorrisetto sconsolato, “Ci vai te dallo psicologo, non vedi come sei sclerata!”.
Rimane un attimo in silenzio poi continua, “Forse ha ragione lui, sono sclerata, ma è perché mi sembra che non sia come tutti i suoi coetanei. L’altra mattina sono passata apposta in macchina alla fermata degli autobus per osservarlo. C’erano un bel po’ di ragazzine, anche molto carine, e lui cosa faceva? Se ne stava girato di spalle con il cappuccio della felpa in testa e le cuffie nelle orecchie… e sono sincera, a me sembrava un disadattato”.
“Mi sembra che l’atteggiamento di Marco la preoccupi molto più di quanto preoccupi lui” le dico.
“Può essere, infatti mi sembra che sia sempre così distaccato da quello che gli accade intorno. Anzi un giorno mi ha detto addirittura che lui è felice e che non gli devo rompere le palle con tutte le mie paranoie” sospira la signora L..
“Forse è solo questione di tempo, sta cambiando e ora cerca la sua strada”.
“Può essere anche questo ma io mi sento in dovere di spronarlo, gli propongo mille cose per smuoverlo. Per esempio gli ho chiesto se quest’estate volesse fare un viaggio interculturale e lui mi ha risposto, Fattelo te il viaggio interculturale!”.
“Forse vuole decidere lui quello che fare” ipotizzo.
“Sì ha ragione Dottore, può essere che sia io che gli sto troppo addosso… ma comunque vorrei tanto che venisse da lei a fare qualche colloquio, come posso convincerlo?”.
“Se Marco non è motivato non lo costringa, rischieremmo di fare un buco nell’acqua”.
“Ha ragione, ma io mi sento così ansiosa…” e le si inumidiscono gli occhi.
“E allora che ne dice di rivederci la prossima settima io e lei così da lavorare su questa sua preoccupazione?”.
“Sì, forse ne ho bisogno” e sospira nuovamente.