mercoledì 30 settembre 2015

Eccoci arrivati alla seguitissima rubrica del mercoledì in compagnia della nostra banda di terribili e agguerriti vecchietti.



SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO
                                                    
Prima parte

Oggi qui nella sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd sto leggendo con grande trasporto la notizia del viaggio del Papa negli Stati Uniti quando la signora Mafalda con un bel cerchietto luccicante sulla testa interrompe il mio racconto.
“A me mi piace ‘sto papa, è una persona seria, ma i preti…” e scuote la testa in maniera piuttosto eloquente.
“I preti?” investigo.
“I preti sono dei maiali!” sentenzia.
“Dei maiali???” faccio io mentre dal parterre si alzano versi di approvazione.
“Non tutti eh…” aggiusta il tiro la signora Mafalda mentre si sistema il cerchietto, “però alcuni vogliono fare l’amore anche loro”.
“Con chi vogliono fare l’amore?” approfondisco io.
“Con chi trovano” risponde secca.
“Va là che io gli taglierei tutto a quelli lì così non ci vanno più con le donne!”, è la signora Irma che stava aspettando il momento più adatto per sfoderare una delle sue perle di puro estremismo.
“Accidenti, addirittura?” faccio io.
“Sì addirittura!” ribatte lei sempre più accalorata, “C’era il prete del mio paese che andava a ballare e una volta mi ha chiesto di fare un valzer con lui… che schifo!”.
“Osta! E tu?”.
“Che domande, gli ho detto no!” esclama con aria disgustata.
“E io che credevo che aveste grande stima e fiducia nei preti” li provoco.
“Beh, per me sono delle brave persone”, è la signora Pia con la sua carrozzina alimentata a catetere a prendere la parola, “L’altra mattina sono andata in paese con il mio biroccio e ho incontrato Don Gino che per salutarmi è addirittura sceso dalla bicicletta e si è pure tolto il cappello”.
“Ma che cazzo dice questa!”, è Piero che dal loggione interviene picchiettandosi l’indice sulla tempia.
“Che brutte parole che usa, signore” lo redarguisce la Pia facendosi il segno della croce, “per me i preti sono gente per bene, gentili e sanno amare il prossimo”.
“Sono peggio degli altri, mangiano come dei buoi e fanno del sesso!”, ci mancava solo la signora Giuliana all’appello.
 “Adesso ve la racconto io una storia sui preti”, è Piero a intervenire ieratico battendosi l’indice sul petto.


Lo so lo so che vi lascio con il fiato sospeso ma per conoscere la storia di Piero dovrete attendere il prossimo mercoledì. Vi aspetto numerosi, stesso posto, stesso giorno, stesso blog.

lunedì 28 settembre 2015

Pronti per la consueta rubrica del lunedì? Buona lettura!


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?





“L’altro giorno ho scritto questa”, Giacomo, capelli scompigliati e occhiali con la montatura quadrata alla Clark Kent, sventola un foglio di carta, “e ci tenevo che tu la leggessi”.
“Certo” gli faccio io.
“Non so che mi è preso, però ho cominciato a scrivere dopo l’ennesimo litigio con mamma”.
“Che vi siete detti?” gli domando.
Giacomo si aggiusta gli occhiali, che poi è una sua specie di “tic”, e mi spiega, “Lei  lunedì sera ha cominciato a strippare perché non studio, sono disordinato e sto sempre con quel cazzo di cellulare. Sì, ha detto proprio cazzo, te lo giuro. Poi da lì è partita che lei non ce la fa più a stare dietro al lavoro, alla casa e a me che non do una soddisfazione neanche a morire”.
“E tu?” chiedo.
“Io per un po’ ho ascoltato ma sentivo dentro che mi stava salendo la rabbia e quando mi ha detto, da domani vai da tuo padre che io non ti sopporto più, non ci ho visto e le ho risposto che come mamma non vale niente e altre parole molto brutte”.
“Eravate mai arrivati fino a questo punto?”.
“Qualche volta, ma non è finita qui. Lei mi ha detto, con quella sua aria disgustata, che sono uguale a papà e che noi due siamo la sua rovina. Io allora le ho risposto che è lei la mia rovina poi sono scappato in camera e ho sbattuto così forte la porta che è saltata via la maniglia”.
“E quella sera hai cominciato a scrivere?”.
“Sì proprio così” e mi porge la lettera.
Inforco gli occhiali e leggo a bassa voce.

Certo, sono uguale a papà perché sono suo figlio, o ti sei dimenticata, cara mamma. Ho preso qualche cosa da lui e anche da te, forse il peggio da entrambi visto che sono la vostra rovina. Però credo di aver preso anche qualcosa di buono che voi proprio non vedete perché vi odiate talmente tanto che non ve ne frega niente di quello che vi sta intorno. Sapete cosa dicono i miei amici di vostro figlio? Che so farli ridere e che li capisco. Penso siano due caratteristiche bellissime o no? L’altro giorno ho ascoltato due ore la Francesca che era disperata perché Luca l’aveva lasciata, qualche giorno prima ho consolato Margherita e anche Riki che erano in una crisi nera.
Lo sapete, cari i miei genitori, che la vostra “rovina” sa far ridere tutta la classe quando imita i professori? No, non lo sapete, ne sono convinto.
Chi di voi due era bravo a far ridere gli amici?
Forse non ve lo ricordate nemmeno.
Sapevate ascoltare voi?
Vedendovi adesso credo di no!

“Prima cosa grazie per avermi reso partecipe delle tue emozioni” e gli restituisco la lettera, “seconda cosa credo che tu non sia per niente una rovina, anzi…”.
“Lo credi davvero o lo dici a tutti?” mi fa Giacomo.
“Lo credo davvero” e quasi mi commuovo.

venerdì 25 settembre 2015

Eccoci arrivati alla rubrica del venerdì in compagnia di Davide e del suo Grande Progetto.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Secondo, e penultimo, tempo


La simpatica professoressa Gargolla ti detta un’equazione impossibile quindi si alza dalla sedia e ti pianta addosso il suo sguardo più fetente. Pensi, inquietato, che sia l’unico essere umano a muovere gli occhi avanti e indietro contemporaneamente come il camaleonte di Parson.
Sei sporco di gesso e perdi il filo dei pensieri mentre ti dice che se non riesci nemmeno stavolta a risolvere l’equazione si mette a ballare la Mazurka nel corridoio.
E non scherza visto che l’altro giorno si è dilettata con la Polka.
“Me lo sono sempre chiesta cos'è venuto a fare qui al Liceo… quelle di Brini sono braccia rubate all’agricoltura” sentenzia mentre passeggia su e giù per la classe con le mani intrecciate dietro la schiena.
Intanto qualche buon’anima tenta di suggerirti, ma non la ascolti, anzi, non la vuoi ascoltare. Vuoi vedere fino a che punto riesce a spingersi.
E’ una sfida tra te e lei.
Lo spirito maligno è di parola, tu quell’equazione non riusciresti a risolverla nemmeno in un’altra vita e allora lei si dirige in corridoio a passo di danza come se uno stereo suonasse la Mazurka di periferia.
A un certo punto dici basta, questa pantomima deve terminare.
Non sei mai stato così convinto, per quindici anni hai abbassato lo sguardo di fronte ai genitori, ai professori e all’allenatore. La verità è che ti hanno sempre considerato un buono a nulla e questa etichetta te la sei portata dietro, fino ad oggi. 
Ti dirigi, come se fosse la cosa più normale del mondo, verso il tuo banco mentre una pletora di sguardi increduli segue le tue mosse.
Ti infili il giubbotto di jeans e lo zaino quindi ti incammini verso il corridoio dove la Gargolla sta volteggiando come Carla Fracci appena colta da un ictus. La sua performance si interrompe bruscamente quando ti vede pronto per uscire.
“Brini, che sta facendo?” quasi non crede ai suoi occhi da camaleonte, “Vada a fare subito quell’equazione! Se fa un altro passo perde l’anno quantèveroiddio!”
Decidi di abbandonare il tuo aplomb e farfugli una frase in modo che ti possa sentire, “Cazzo me ne frega…”.
Quelle parole sono veramente uscite dalla tua bocca e ora non possono più tornare indietro.
“Cosaaa???” la Gargolla ha una specie di attacco di cuore.
“Cazzo me ne frega” scandisci meglio mentre la fissi, cannibale, negli occhi.
“E poi sa cara professoressa cosa penso io di lei?” continui alzando la voce, “Che è solo una zitella frustrata di mezza età, che non se la scopa più nessuno!”.
La frase filtra forte e chiara fin dentro la classe. I tuoi compagni con la bocca aperta e gli occhi sgranati a stento trattengono la risata e nello stesso tempo pensano che sei fregato.
La Gargolla, dopo qualche istante, si riprende dallo shock, il suo viso assume le sembianze trasfigurate del ciclope colpito all’occhio dall’infallibile lancia di Ulisse.
Il suo sistema nervoso centrale è in cortocircuito.
“Dal preside!!! Con questo Liceo ha chiuso!!!”, un grido rauco, distorto, da indigena.
“E’ vero professoressa, con questo liceo ho chiuso… E PER SEMPRE!”.
Improvvisamente nell’aula rimbombano delle risate e uno strisciare febbrile di sedie. La Gargolla si affaccia alla porta e urla, “State seduti! Anche tu e tu dal preside!”.
Tu corri a passi lunghi nel corridoio mentre si aprono le porte delle aule da cui escono professori allarmati. Ti fiondi fuori dalla scuola mentre il bidello ti urla dietro di fermarti.
Finalmente sei libero e ora non ti importa di ciò che succederà, vuoi solo fuggire e perderti nei campi di girasoli.
Insegui un autobus fino alla fermata.
“Va alla stazione?” domandi, con il fiato corto, al conducente.
Lui risponde di sì e tu sali.


Non potete assolutamente perdervi il terzo e ultimo tempo di questo breve racconto. Quindi vi aspetto numerosi anche venerdì prossimo, stesso giorno, stessa posto, stesso blog.

mercoledì 23 settembre 2015

Eccoci arrivati alla nostra consueta rubrica del mercoledì con i nostri terribili vecchietti che dissertano sul tema dell'immigrazione.


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Anche oggi nella nostra rassegna stampa sono alle prese con il tema dell’immigrazione e io mi sento sempre più Del Debbio alle prese con un parterre agguerritissimo nella trasmissione Dalla vostra parte.
“Anche noi la guerra l’abbiamo passata e siamo stati tutti a casa, mica andavamo negli altri paesi a fare i vagabondi” si sdegna la signora Irma che come ben sapete potrebbe diventare membro onorario della Lega Nord.
“E poi c’è il rischio delle malattie perché sono gente sporca” è sempre lei a suonare la carica.
“Ok Irma, ma ormai sono arrivati qua e non possiamo rimandarli indietro” provoco il parterre, “quindi secondo voi che cosa bisognerebbe fare?”.
“Bisognava pensarci prima!”, è la signora Giuliana con la frangia alla Ringo Starr a prendere la parola, “Non bisognava farli venire a questi qua, non vedi che ci hanno invaso e sono tutti di loro”.
“Non sono d’accordo, bisogna darci da mangiare a quei poveretti!”.
Attenzione, una voce fuori dal coro, è la signora Pia con il suo caschetto alla Caterina Caselli e una passione atavica per Nilla Pizzi a continuare, “Mi ricordo che era il tempo in cui i tedeschi scappavano perché erano arrivati gli americani. Un giorno ci si sono presentati a casa feriti e affamati e chiedevano il pane e noi gliel’abbiamo dato”.
Quasi quasi mi commuovo di fronte a cotanto buon animo e le domando, “Quindi tu saresti per accoglierli e dar loro da mangiare?”.
“Sì, se si comportano bene, sì. Non si nega da mangiare a nessuno, nemmeno al nemico, perché la fame è brutta”.
“Quindi loro sono il nemico?” le chiedo.
“Eh sì, sono il nemico!” è la signora Giuliana ad anticipare le colleghe, “Sarò cattiva ma io ho una gran paura di quelli lì e se mi venissero ad abitare vicino me ne andrei di corsa”.
“Gli albanesi so’ cattivi”, dal nulla spunta la vocina della signora Angelica, vi ricordate?, quella che lacrima come la Madonna di Lourdes e parla una volta al mese.
“Lo sai cosa mi ha detto mia figlia?” domanda la signora Irma con un’espressione seria e risentita, “Che vicino casa sua hanno rubato un intero filare d’uva!”.
“Addirittura!?!” esclamo, “Ma chi hanno rubato?”.
“Come chi!?! Quei maruchèn!” specifica.
“Ma li hanno visti?” la provoco.
“No, ma sono stati loro”.
“Chi te l’ha detto?”.
“Ma chi vuoi che sia stato?” risponde quasi offesa da tutte quelle domane, “Sono stati loro per forza, perché quella è gente cattiva!”.
“Andiamo bene” farfuglio mettendomi le mani nei capelli.

lunedì 21 settembre 2015

Eccoci arrivati alla consueta rubrica del lunedì in compagnia di Marcos.



LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?



Quando, con lo sguardo, ho seguito Marcos nel breve tragitto tra la porta dello Sportello Ascolto e la sedia ho pensato subito che non avesse la minima voglia di avventurarsi in un colloquio con il sottoscritto. Occhi a mezz’asta, postura lievemente ingobbita e andatura caracollante.
E invece nonostante quell’apparente indolenza mi dice che ha bisogno di sfogarsi perché qua a scuola ha pochi amici e in generale pensa che i ragazzi della sua età non possano capire i suoi tormenti.
“Dottore” esordisce, ma prima che possa continuare lo interrompo, “Mi fa un po’ strano se mi chiami dottore, chiamami T.” e gli sorrido.
Marcos annuisce e prosegue, “T., è inutile girarci intorno, il problema è mia mamma”.
“Spiegami bene” annuisco.
“E’ una donna lunatica, un giorno mi abbraccia e mi bacia, il giorno dopo non fa altro che insultarmi”.
“Per quale motivo ti insulta?”.
“Per tutto, per la scuola, per il disordine, perché sono cambiato in male e perché non mi confido con lei. Sì, proprio così, si arrabbia perché dice che non sa più niente di me e non mi capisce più”.
“In passato ti confidavi con lei?” gli domando.
“Sì, siamo quasi sempre stati io e lei, mio padre infatti per dei mesi stava, e sta, fuori per lavoro, e prima parlavamo tanto ma ora è diverso”.
“In che senso è diverso?” investigo.
“Dice che sono diventato arrogante e per ogni cavolata scatto. E poi a dir la verità adesso non mi va per niente di parlare con mamma delle mie cose private”.
“Quindi mamma forse ha ragione quando dice che sei cambiato”.
Marcos ci pensa su quindi con un bel sospiro mi fa, “Certo, vorrei vedere, ormai ho sedici anni! E poi è vero che sono diventato arrogante ma è colpa sua che mi stressa… anche se ammetto che fare il genitore non è facile per niente soprattutto con un figlio come me” e ride di gusto.
“Interessante” intervengo io, “spiegami bene”.
“Io non ho un carattere facile, sono bello tosto ma anche lei non si capisce cosa pretenda da me, sembra che mi voglia più autonomo ma poi si preoccupa se lo divento. Eccheppalle!”.
“E’ sì, non è facile il mestiere del genitore”.
“Per niente” conferma Marcos, “e poi non basta mamma, c’è anche nonna che rompe all’ennesima potenza. Lei sì che pensa ancora che sia un bambino! Mi sta appiccicata come quando andavo alle elementari, sempre a chiedermi cosa voglio da mangiare, se ho dormito, studiato, messo a posto la camera, echeppalle!”.
“E tu?”.
“Io mando tutti a quel paese e mi rintano in camera con la musica a tutto volume così nessuno mi rompe più”.
“Funziona?”.
“A volte sì, a volte no” e sorride.

venerdì 18 settembre 2015

Eccoci arrivati alla nostra consueta rubrica del venerdì. Oggi il "primo tempo" di un breve racconto.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Primo tempo


Scendi dall’autobus spintonato da una torma di licantropi quindicenni che ululano dietro a una ragazza con gli occhi verdi e due tette spaziali.
Sono patetici, pensi.
Ti senti un alieno perché non fai apprezzamenti e non elenchi le posizioni in cui te la faresti. In prossimità dell’entrata ti si fa incontro Rondoni tutto trafelato. Senza nemmeno salutarti comincia a frugarti nella cartella come un cane randagio nella spazzatura finché non addenta il tuo quaderno di latino. A quel punto si appoggia al muretto per copiare la versione. Stavolta l’hai fatta da schifo, anzi l’hai lasciata a metà, ma sono cavoli suoi, pensi.
Il Grande Progetto ti occupa la mente e ti risucchia la concentrazione, non c’è spazio per quelle stupidissime versioni.
Mentre attraversi l’atrio e saluti Germano, il bidello, che come tutte le mattine si sta sbucciando un’arancia, ti sale l’angoscia e cominci a pensare che sarebbe meglio  lasciar perdere.
Forse sto facendo una cazzata, soppesi.
Eppure fino a ieri eri sicuro di te, inflessibile.
Sulle scale incontri Ambra. Con i suoi occhi buoni da Bambi e l’aria ostinatamente distratta, sembra che sia appena precipitata da un’altra galassia. Lì al Liceo tutti la considerano una svitata ma in realtà tu sai bene che è solo un tantino originale e forse un po’ troppo sensibile per il pianeta terra.
Stanotte vi siete messaggiati fino all’una e tu hai trovato il coraggio di rivelarle il Grande Progetto. Non ti ha dato dello stupido e non ha cercato di fermarti. Ti ha capito come non ti capirebbe nessuno.
Ora ti domanda per l’ultima volta se sei davvero convinto, ti sussurra un po’ imbarazzata che per te ci sarà sempre quindi ti butta le braccia al collo e ti riempie di baci.
Entri in classe, ti rintani nel loggione, da una parte c’è Rondoni che ti maledice perché hai fatto una mezza versione senza senso e dall’altra Gordon che scarabocchia il banco con la cancellina.
Ti scappa un sorriso malinconico mentre pensi che ti mancheranno quelle quattro stronzate con gli amici. Ma neppure quelle possono alleviare il tuo tormento.
Qui, in questo ambiente, in questa città, ti senti soffocare come se ti avessero infilato la testa dentro a una busta di nylon.
Quando suona la campanella ecco che appare la professoressa Gargolla, più minacciosa di uno spirito maligno.
Entra spregiudicata e spocchiosa, già sgradevole di prima mattina. Produce la solita inutile battuta ed è subito pronta a interrogare, per non perdere un solo secondo. Passa e ripassa il registro con gli occhialini sul naso e l’espressione luciferina.
Il buon Giacomo Guidi si propone volontario, per oggi almeno ti potrebbe salvare, ma tutto è già scritto.
“Guidi, lei ha la media dell’otto, cosa viene a fare? Tanto poi ce l’abbiamo già il nostro abituale volontario” e sfoggia una smorfietta famelica.
“Davide Brini!” bercia strafottente, “Lei è il volontario perfetto!”
Qualche burattino in platea la compiace con una risata a comando.
Strisci la sedia sul pavimento quindi ti alzi con una lentezza biblica. Sai bene che il tuo atteggiamento ha già mandato in bestia la Gargolla ancor prima di cominciare l’esecuzione.
Mentre ti avvii verso la ghigliottina senti colare nello stomaco una rabbia orrenda. Ti immagini i modi più efferati per renderla focomelica.
Cerchi di mantenere i battiti al minimo, in fondo sei un provocatore, non un maleducato.
Lei però inizia il suo show. 

Continua...

Vi aspetto venerdì prossimo per il "secondo tempo", stesso giorno, stesso posto, stesso blog.  

mercoledì 16 settembre 2015

Eccoci pronti con la consueta rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri terribili vecchietti e di una rassegna stampa molto calda.



SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO



Oggi qui nella sala polivalente della casa di riposo ad Runcfrèdd è il giorno della tanto attesa rassegna stampa. C’è il pubblico delle grandi occasioni, tra anziani, parenti e operatori tutti pronti a intervenire neanche fossimo ospiti di Del Debbio su rete 4. E il tema è uno di quelli caldi che divide non solo l’Europa ma anche la nostra platea di ultraottantenni a bordo delle loro carrozzine alimentate a catetere. Sì, si parla proprio di immigrazione e in particolare della presenza di profughi nella nostra Romagna.
A rompere il ghiaccio non poteva che essere la signora Irma piuttosto accalorata quando si toccano certe tematiche.
“Perché tutta questa gente deve venire qui?” esordisce con una smorfia di disgusto, “Non ce n’è abbastanza in Italia di disoccupati?”.
“Certo non è un periodo buono per l’occupazione” confermo.
“Non lavorano e così dopo cominciano a rubare e fanno gli omicidi” sentenzia.
“Guarda qua Irma” le indico un’immagine sul giornale in cui un gruppo di immigrati scalzi protestano di fronte alla sede del comune di Cesenatico.
“Sono pure scalzi!” scuote la testa con una smorfia di disgusto.
“Appunto, non hanno i soldi neanche per le scarpe… non ti fanno nemmeno un po’ di pena?” la provoco.
“Pena?!?” e mi guarda come se avessi appena bestemmiato, “E’ che sono dei vagabondi!”.
Sto per ribattere quando dalla platea si alza la vocina della signora Angelica con la sua congiuntivite che la fa lacrimare più della Madonna di Lourdes, “Gli albanesi so’ cattivi”.
Dovete sapere che all’età di novantacinque anni la signora Angelica ormai parla una volta al mese e quindi per noi è un grande onore che oggi sia intervenuta. Mi dispiace solo che si porti dietro ancora quel trauma che risale al tempo in cui viveva a Gatteo e i suoi vicini albanesi le rubavano gli ortaggi e la frutta. Anche se poi aveva risolto la situazione a modo suo, infatti una sera era uscita di casa con il fucile del marito deceduto e aveva cominciato a sparare. Chissà perché da quel giorno gli albanesi hanno smesso di importunarla.
“Stai tranquilla Angé che adesso sono diventati buoni” la rassicuro.
“Ma perché devono venire tutti in Italia?” riprende la signora Irma, “Le altre nazioni non li prendono mica, la Germania per esempio”.
“Perché noi siamo dei coglioni!” è Piero che dal loggione dice la sua.
“E perché secondo voi in Germania non li accettano?” domando.
“A cosa serve quella gente lì?”, è ancora la signora Irma, sempre più eccitata, a prendere la parola “Non lavorano e vanno a rubare, per forza non li vogliono”.
Quindi tu, Irma Riceputi, se fossi il presidente del consiglio cosa faresti?” continuo a provocarla.
“Io metterei un cancello con il filo spinato laggiù, dai da dove vengono su” specifica e io credo si riferisca a Lampedusa, “così vedrai che se la finiscono di venire qua!”.

“Andiamo bene” sospiro e intanto penso che per fortuna la signora Irma non si è mai dedicata alla politica. 

lunedì 14 settembre 2015

Eccoci pronti con la nostra rubrica del lunedì in compagnia di Marta e delle sue paure.


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?

Immaginate due occhi grandi come quelli di un manga giapponese, le labbra rosse e i capelli castani lunghissimi che ogni tanto lega in improbabili acconciature, ecco questa è Marta.
E’ il terzo colloquio quando mi chiede a bruciapelo, “Ma faccio così schifo?”.
“Schifo???” le faccio eco, “Non mi pare proprio”.
“Invece è così, faccio schifo!” esclama con gli occhi lucidi.
“Perché pensi questo di te?”.
“Perché mi abbandonano tutti” dice nascondendo il viso tra i capelli, “anche l’Eli, la mia migliore amica. Mi manca un casino. Quando ero con lei in giro mi sentivo bene, addirittura mi sentivo più magra e più bella. E’ come se mi avesse dato l’autostima. Poi ha iniziato ad allontanarsi e più si allontanava e più le stavo addosso. Fino a domenica quando mi ha detto che era meglio stare un po’ lontane perché io soffoco le persone mentre lei ha bisogno dei suoi spazi e di avere anche altre amiche”.
“Credi che abbia ragione?”.
“Forse sì, sono così dalle elementari, sceglievo un’amica, stavo sempre e solo con lei e guai se si faceva un’altra amica. Ero gelosa marcia! E’ che mi attacco troppo alle persone e loro dopo un po’ scappano”, esita un attimo, “è per questa maledetta paura…”.
“Di che cosa hai paura Marta?”.
“Che mi abbandonino” ci pensa su quindi prosegue “eppure sono io che le faccio allontanare”.
“Forse sei alla ricerca di una giusta distanza” le dico.
“E’ tutta colpa di Roberto” e scuote la testa.
“Di papà” preciso.
“Sì ma per me è Roberto, non è mio padre. E’ lui che mi ha abbandonato e da lì la mia vita è cambiata, mi sono sentita male e adesso ho una rabbia dentro”, Marta stringe il pugno e digrigna i denti, “cioè ora ci vediamo tutte le settimane ma lui non fa il padre, lui fa l’amico, addirittura mi racconta i particolari di quando va con una o con l’altra”.
“E tu?”.
“Io ascolto e mi fa schifo ma non ho il coraggio di dirgli basta”.
“Forse perché è un modo per avere un contatto con lui, anche se poco piacevole” ipotizzo.
Marta sbatte i suoi occhioni da manga e fa “Tu come staresti con un padre che non fa il padre e una madre di merda?”.
“Non lo so ma di sicuro capisco che non sia facile”.

venerdì 11 settembre 2015

Eccoci giunti alla nostra rubrica del venerdì. Non è una partita ma una battaglia, sia in campo, sia fuori dal campo. E l'epilogo sarà sconcertante.



CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI



Quarta, e ultima, parte


L’intervallo è servito al signor Benni per calmarsi un attimo anche se tra un tiro di sigaretta e un altro continua a biascicare ingiurie nei confronti dell’arbitro.
Eccolo, vede uscire il figlio dallo spogliatoio, per fortuna sembra non aver riportato problemi dopo l’intervento killer dell’avversario. Però così non va, bisogna dare una strigliata al ragazzo anche perché di sicuro il mister con il suo buonismo del cazzo non gli ha dato quella scossa di cui ora ha bisogno per tornare in campo con la grinta giusta.
“Geki vieni qua” gli fa cenno il signor Benni balzellando con un certo atletismo sui gradoni della tribunetta.
“Come va la caviglia?” domanda.
“Mi fa un po’ ma…”, Geki non riesce a finire la frase perché papà lo interrompe, “Mi stai facendo fare una figura di merda con l’osservatore, lo capisci?”.
“Hai ragione pà” risponde il figlio che intanto lancia un’occhiata al talent scout di nuovo alle prese con una frenetica attività telefonica.
“Non darmi ragione e tira fuori i coglioni!” fa il signor Benni con l’indice puntato e la vena sul collo che comincia a pulsare.
“Sì pà”.
“Non mi deludere eh!” conclude il signor Benni tornando nella sua postazione sulla tribunetta.
Ma quella cavolo di caviglia fa un male cane, riesce malapena ad appoggiarla a terra e a Geki basta il primo scatto per capire che non può continuare. Sta per chiedere il cambio quando si gira verso il padre, seduto accanto all’osservatore, e di colpo desiste. Non può deluderlo, deve provare a rimanere in campo, a tutti i costi.
Passano pochi minuti quando Lupo, l’ala sinistra, si beve il suo avversario, va sul fondo e mette una palla rasoterra proprio in mezzo all’area. Bucano tutti i difensori mentre il portiere rimane impalato sulla linea di porta. Da dietro spunta Geki zoppo come Kevin Spacey nei “Soliti sospetti”, la porta è spalancata e quella sfera basta spingerla dentro anche solo con il respiro. Sta per colpire la palla quando sente una fitta nella caviglia che è come una coltellata, anzi, come cento coltellate in un secondo. Così cade per terra mentre la sfera gli sfila davanti e inesorabilmente abortisce sul fondo.
Si alzano dei “noooo!” e poi un “Cazzo fai!?!” che proviene direttamente dalle viscere del signor Benni che è scattato in piedi con le mani nei capelli.
Quando i sanitari entrano in campo Geki sta rotolando a terra tenendosi la caviglia e grida, “E’ rotta, è rotta!”.
Il mister intanto chiama l’arbitro e provvede alla sostituzione.
Ma non appena il signor Benni si accorge dell’ingresso in campo del numero 14 capisce che il figlio non rientrerà e in un secondo perde il lume della ragione.
Prima rivolgendosi all’osservatore fa, “E’ impazzito, lo sostituisce???”, poi, quasi volando, atterra proprio alle spalle della panchina dove mister Gianni si sta sincerando della condizioni di Geki.
“Che cazzo fai, lo cambi!?!” comincia a urlare il signor Benni, “Ora vengo dentro e ti ammazzo!”.
Il mister si gira allibito e gli fa, “Si calmi, non può continuare a giocare”.
Il signor Benni allora con il cervello in completo burnout prende la via del campo, si fionda minaccioso verso l’allenatore e proprio come un all blacks che corre verso la meta si libera a strattoni delle persone che cercano di bloccarlo, perfino dell’arbitro che intanto ha interrotto la partita.
Sta già caricando il pugno contro la faccia ancora incredula del mister quando un grido squarcia l’aria, “Papà basta!!!”.
Il signor Benni allora si blocca, si guarda il pugno e crolla sulle ginocchia.

mercoledì 9 settembre 2015

Eccoci pronti con la consueta rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri agguerriti vecchietti e dell'ultimo sanguinoso scopone scientifico.


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Quarta, e ultima, parte


“Fermi tutti!” ha esclamato Ernesto sbattendo le carte sul tavolo dopo averle mischiate con un savoir faire da giocatore professionista.
Noi del pubblico allora ci siamo zittiti prontamente come se a parlare fosse un temuto professore dalla sua cattedra.
“La mia proposta è questa: se vince l’amico Fulvio avrà la cena pagata dal sottoscritto per una settimana intera, se invece dovessi vincere io, il mio avversario pagherà, stasera, a me e ai miei amici” e ci ha indicato, “una bella mangiata a base di piadina e salsiccia e ovviamente Sangiovese per tutti!”.
A quel punto, mentre la signora Giuliana alla parola salsiccia si era già ringalluzzita, il nostro ha teso la mano all’avversario e, dopo un attimo di esitazione, l’intrepido Fulvio con un sorriso beffardo ha accettato la proposta quindi ha aggiunto, “Allora prepara il bancomat caro Erni!”.
E se c’è una cosa che Ernesto non può sopportare è proprio quella di essere chiamato con quel nomignolo da checca, come dice lui. Una volta ha mandato a quel paese  addirittura la coordinatrice, che per fare l’amicona è solita chiamare i vecchietti per soprannome con quella vocina come se si rivolgesse a dei bambini di due anni, solo perché gli ha osato chiedere, “Erni come andiamo?”.
Così l’ultimo sanguinoso scopone scientifico è cominciato, e se da una parte il nostro maneggiava le carte con gli occhi di tigre, dall’altra Fulvio aveva stampato costantemente quel sorriso da pubblicità della Kukident.
A dir la verità io non conosco le regole dello scopone scientifico quindi non capivo con precisione cosa stesse accadendo. Gli unici parametri che potevo utilizzare per seguire l’andamento erano le esclamazioni del pubblico ma soprattutto le bestemmie da parte dei due sfidanti. E se Ernesto le utilizzava quando la situazione era sfavorevole, Fulvio, al contrario, le sfoderava per sottolineare una giocata vincente.
Era il momento decisivo, lo leggevo negli occhi dei due sfidanti e nelle espressioni raggrinzite dei tifosi, quando la signora Giuliana ha cominciato a massaggiarsi la pancia e mi ha annunciato che era in atto un traversone fulminante.
Un po’ come quando nel momento del rigore decisivo la mamma ti chiamava a mangiare, ho imprecato ma poi sono dovuto correre in bagno spingendo la carrozzina mentre la signora Giuliana ripeteva, “Non la tengo più!”.
E nel bel mezzo dell’evacuazione ho sentito provenire dal casinò a cielo aperto delle urla di gioia e un fragoroso applauso.
Chi aveva portato a casa la vittoria?
Quando sono riemerso dal bagno ho capito subito chi era il vincitore in quanto attorniato da signore con permanenti e rossetto sui denti che lo abbracciavano e da signori con gli orologi Casio e la barba fatta che si complimentavano… con chi se non con Ernesto!?!
Proprio così, aveva vinto lui e ora veniva portato in trionfo come un eroe. Vi assicuro che non l’avevo mai visto così felice, con quegli occhi lucidi di chi pensava “Ora posso morire in pace”.
Fulvio invece aveva perso la sua baldanza, ancora seduto lì a osservare le carte mentre biascicava qualche improperio come Dastardly dopo l’ennesima sconfitta.
Terminati i festeggiamenti, con la signora Irma che si lagnava perché voleva tornare a casa e Piero che ci provava pesante con una vedova, abbiamo mangiato piadina e salsiccia e brindato al vincitore.
Il viaggio di ritorno è filato liscio, si sono addormentati tutti come dei sassi, forse per il vino, forse per l’emozione. Anzi, liscio liscio no, perché la signora Giuliana è stata colta da uno dei suoi micidiali traversoni e abbiamo fatto il solito pit-stop. Indovinate dove? E’ ovvio, al bar dei cinesi.

lunedì 7 settembre 2015

Eccoci pronti con l'attesissima rubrica del lunedì in compagnia di Natascia


LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?


Terza, e ultima, parte


Ho imparato a capire che quando Natascia si tortura quel pearcing che ha infilzato nel setto nasale e comincia ad attorcigliarsi i capelli attorno alle dita significa che è nervosa e sta per affrontare un discorso molto delicato.
“L’altra volta non mi sentivo pronta a parlare di certe cose” si giustifica quasi.
“Non ti preoccupare, ognuno ha i suoi tempi”.
“E’ una questione di fiducia, mi capisci?” e mi fissa con quegli occhi pieni di matita nera.
“Certo, credo che la fiducia sia alla base di tutti i rapporti” le confermo.
“E’ come se in questi colloqui ti avessi involontariamente messo alla prova”.
“E?” le domando.
“E ho l’impressione che nonostante i pearcing, i capelli blu e i comportamenti non sempre adeguati tu non mi abbia mai giudicato” mi dice con una lucidità che se devo essere sincero non mi sarei aspettato.
“Certo, io non sono qui per giudicarti”.
“Quello che ti sto per dire l’ho già dovuto ripetere a quelli dei servizi sociali ma tanto alla fine non risolvono niente” fa Natascia con una smorfia di rabbia.
Io annuisco e lei riprende con un sospiro, “E’ stato a inizio anno, mia mamma è dovuta andare in Romania dalla nonna e io sono rimasta con quello là. Pensare che prima di quei giorni andavamo abbastanza d’accordo e lui a volte era anche più presente di mamma, forse voleva fare un po’ troppo il padre”.
Io continuo ad annuire senza interromperla.
“Quei giorni, te lo giuro, sono stati un inferno” ora gli occhi neri di Natascia sono un misto di paura e rancore, “ha cominciato una sera sul divano a farsi troppo vicino, qualche complimento e qualche carezza. Poi anche la sera dopo e quella dopo ancora ma io mi allontanavo e poi me ne andavo in camera”.
“Gesti che non aveva mai fatto?” le chiedo.
“Forse qualche complimento, qualche carezza sui capelli ma in quelle sere era diverso” si ferma un attimo, “forse capisci cosa intendo… se ci ripenso mi viene da vomitare”.
“Immagino” mi limito a dire.
“Comunque una sera lo stronzo si fa più pressante, prova a mettermi la mano e io ero completamente paralizzata, te lo giuro. Non so come ma a un certo punto ho trovato la forza per scappare in camera. Tremavo e piangevo ma pensavo di essermela cavata e invece alla notte me lo sono ritrovato sopra di me. Non mi lasciava andare quel bastardo fino a che sono riuscita a dargli un calcio nelle palle e mentre rotolava per terra e mi dava della puttana sono scappata in strada. Pensa che ero a piedi nudi e con il pigiama. A quel punto così com’ero sono corsa in caserma”.
“Sei stata molto forte Natascia davvero”.
“Eppure…” mi dice mentre si attorciglia i capelli come a volerseli staccare.
“Eppure?”.
“Eppure quello stronzo è ancora dentro casa e la cosa più brutta è che mia mamma non mi crede, anzi sembra che nessuno mi creda” ora sta trattenendo le lacrime, “solo Angelo, il mio moroso. Mi ha detto che se il bastardo lo rifà un'altra volta lo ammazza”.
“Angelo è l’unico che ti crede?”.
Natascia annuisce poi mi domanda fissandomi dritto negli occhi, “Sai cosa mi succede?”.
“Che cosa ti succede?”.
“Che in tutta questa storia sono io a sentirmi in colpa”.

venerdì 4 settembre 2015

Eccoci puntualissimi con la nostra rubrica del venerdì in compagnia di Geki, suo padre, l’osservatore del Cesena e un terzino della categoria macellai.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI


Terza, e penultima, parte


Le squadre sono finalmente schierate sul rettangolo di gioco e mentre l’arbitro controlla che non ci siano buchi nelle reti Geki con il numero dieci sulle spalle e la fascia di capitano al braccio saltella sul posto per tenersi caldo. Come da rito, prima del fischio d’inizio, individua il terzino avversario che incrocerà sulla sua fascia e ne studia le caratteristiche fisiche come Mendel i piselli, immaginando che tipo di giocatore potrebbe essere. Il dirimpettaio di oggi, che non ha mai visto prima, è un brevilineo, un po’ tracagnotto, e porta i capelli rasati a zero. Ha appena sputato per terra e nell’attesa del fischio arbitrale, tanto per passare il tempo, si trastulla il pisello da sopra i pantaloncini. Così ad occhio e croce Geki lo archivierebbe nella sezione dei macellai, quei giocatori con i piedi a ferro da stiro che per tutta la partita cercano di affettarti polpacci e caviglie e che, come dice suo padre, ti seguono anche in cesso.
A proposito di papà, è seduto sui gradoni della tribunetta e fuma nervosamente, neanche fosse la finale dei Mondiali. Al suo fianco l’osservatore del Cesena sta parlando al cellulare. E mentre l’arbitro fischia l’inizio delle ostilità Geky sente salire l’ansia.  
Strano, ma dopo venti minuti ha già il fiato corto e i polpacci molli come se qualcuno gli avesse succhiato via tutte le energie. E quando per l’ennesima volta il macellaio non abbocca alle finte e gli scippa il pallone si domanda, che diavolo mi sta succedendo?
Ovviamente anche il signor Benni si rende conto che oggi Geki non c’è con le gambe ma soprattutto con la testa, e, rivolgendosi all’osservatore che nel frattempo sta prendendo appunti su un block notes, cerca di giustificarlo, “Purtroppo ha avuto 39 di febbre proprio ieri ed è sotto antibiotico”. Subito dopo, all’ennesimo contrasto perso dal figlio, scatta in piedi e urla, “Eddai cazzo, tira fuori le palle!”.
Poi verso la fine del primo tempo ecco che Geki riesce a liberarsi dalla morsa del macellaio con uno splendido doppio passo e si invola verso la porta. Sta per entrare in area quando il macellaio rinviene e si getta in scivolata colpendo con i suoi tredici tacchetti la caviglia del numero 10. Mentre l’arbitro fischia la punizione dal limite e sventola il cartellino giallo al terzino, Geki si rotola a terra tenendosi la caviglia.
Il signor Benni allora si fionda come una furia verso il reticolato che delimita il campo e comincia a gridare con la vena del collo che pulsa, “Arbitro cornuto è rigore!”  quindi rincara, “Somaro!”.
Si girano tutti verso di lui, giocatori, guardalinee, dirigenti e allenatori. Tutti tranne Geki che rimane a terra dolorante.
Dopo l’intervento del fisioterapista e una spruzzata di ghiaccio spray riesce a rimettersi in piedi ma la caviglia si è gonfiata e deve rinunciare a quella punizione dal limite, uno dei suoi pezzi forti.
Calcia Manuel, alle stelle, e subito dopo l’arbitro fischia la fine del primo tempo.
A bordo campo il signor Benni continua a urlare come un invasato, “Somaro!”.
Nello spogliatoio, durante l’intervallo, Geki prova a saltellare ma la caviglia fa un male cane. Il mister Gianni che lo sta osservando già da un po’ per capire le sue condizioni gli si avvicina, gli appoggia una mano sulla spalla e chiede, “Te la senti di continuare?”.
“Certo mister” risponde Geki ostentando sicurezza.
“Guardami negli occhi” insiste Gianni, “sei sicuro?”.
“Giuro! Tutto a posto!” ed esce dallo spogliatoio cercando con tutte le sue forze di non zoppicare.



Lo so che vi lascio di nuovo con l’amaro in bocca ma scoprirete l’esito della partita solo nella prossima puntata. Stesso giorno, stesso posto, stesso blog!

mercoledì 2 settembre 2015

Eccoci pronti con la rubrica del mercoledì in compagnia dei nostri vecchietti in gita a Cesenatico. Ne leggerete delle belle!


SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA MEGLIO


Terza, e penultima, parte


Vi giuro che il vecchietto tonico e scattante con il sorriso fulgido era identico al protagonista della pubblicità della Kukident e vi giuro anche che era piuttosto sfrontato infatti si è messo a provocare il nostro Ernesto.
“Dì, dopo quella sconfitta sei scappato lassù nell’ospizio?”.
Il nostro Ernesto ha scosso la testa e lo ha guardato dritto negli occhi, “Lo sai bene che a Scopone scientifico non ho mai avuto rivali e se hai vinto quel torneo è stato solo per culo”.
“Seee culo!” ha sorriso diabolico il protagonista della pubblicità della Kukident, “Piuttosto come stai lassù con tutti quei vecchi?”.
Ma il sadismo del rivale non poteva di certo scalfire la grinta del nostro che gli ha risposto prontamente sapendo di coglierlo nel suo punto debole, il genere femminile.
“Lassù, per tua informazione, ci assiste tanta di quella gnocca giovane che te non la vedi nemmeno nei sogni”, poi ha rilanciato, “Ma piuttosto, caro Fulvio, come stai con i cinque bypass? Anzi, scusa, sono cinque o sei?”.
Fulvio allora ha battuto fiero il pugno sul petto, “Il mio cuore funziona meglio che quando avevo vent’anni!” poi ha fatto il segno dello stantuffo accompagnandolo con un fischio, “E ci do più di prima!”.
Avrei voluto godermi il gran finale di questa botta e risposta sui massimi sistemi ma all’improvviso mi sono ricordato che avevo altri vecchietti da tenere d’occhio. E ho tirato un bel sospiro di sollievo non appena ho individuato il buon volontario che stava aiutando Piero e la signora Irma a sedersi in una postazione all’ombra ma poi sono caduto nel panico più completo quando mi sono accorto che mancava qualcuno
Quel qualcuno era la signora Giuliana.
Dovevate vedermi mentre mi facevo largo tra la folla over 70 e rimbalzavo da un punto all’altro del parco per poi setacciare il bar e battere inutilmente un sentiero che portava alla spiaggia. Almeno nell’Adriatico non si è buttata, ho pensato, ma subito dopo sono sprofondato nello sconforto più totale e mi ero visto addirittura di chiamare i carabinieri se non fosse stato per l’odore di salsiccia che proveniva da una casetta di fianco al bar. E dovete sapere che la salsiccia è uno degli alimenti preferiti della signora Giuliana. Così tutto trafelato e grondante di sudore sono entrato in quella che doveva essere una cucina e stavo per chiedere a due signorone con le cuffiette da cuoca se avessero visto una vecchietta in carrozza. Ma non c’è stato bisogno perché quella vecchietta in carrozza si era nascosta lì dentro per gustarsi appunto la sua bella piadina con la salsiccia lontano da occhi indiscreti. Devo ammettere che mi sono innervosito non poco, soprattutto per lo spavento, ma poi le ho lasciato terminare il suo trofeo di caccia. E quando sono riemerso spingendo la carrozza della signora Giuliana che intanto si leccava i baffi, il casinò a cielo aperto era stato preso d’assalto da un capannello di spettatori over 70 tutti eccitati e festanti. Mi sono fatto largo calpestando con le ruote della carrozza qualche piede artritico e provate a indovinare al centro della bisca chi ho trovato? Ma certo, Ernesto e Fulvio che concentrati come tiratori con l’arco erano pronti a sfidarsi in un ultimo sanguinoso Scopone scientifico che avrebbe sancito, finalmente, chi tra i due era il più forte di tutti.  


Non potete perdervi l’esito sconvolgente dell’ultimo sanguinoso Scopone scientifico, quindi vi aspetto numerosi, stesso giorno, stesso posto, stesso blog.