venerdì 5 febbraio 2016

Finalmente riprende vita la nostra rubrica del venerdì con un breve racconto a puntate, "Una partita infinita". Riuscirà la tredicenne Martina, campionessa in erba di tennis, a sconfiggere la temibile avversaria Bojena Micu? Buona partita.


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

Prima puntata


Martina colpì la pallina con un dritto incrociato che non lasciò scampo a Bojena Micu.
6-3.
Tre match point.
Strinse il pugno e lo roteò in aria, poi se ne pentì. Il suo grillo parlante personale le frinì di rimanere con i piedi per terra. Non era ancora finita.
Finita finita no, ma occorreva un solo misero punticino per vincere il suo primo torneo, all’età di tredici anni, dopo innumerevoli sconfitte ai quarti o in semifinale.
Sul suo cammino una giocatrice di origine rumena del rivalissimo circolo di Cesenatico. Bojena Micu, soprannominata Bovina per via di uno sguardo non particolarmente reattivo. A vederla sembrava sua mamma.
Tredici anni, mandibola sporgente, due spalle da scaricatrice di frutta e un serbatoio di testosterone. Colpi pesanti ma una tenuta fisica che lasciava a desiderare.
Quella mattina la giunonica Bovina era sulle gambe. Ad una spanna dal ko.
Martina cercò in tribuna lo sguardo d’approvazione di papà. Si trovò, ancora una volta, a elemosinare un suo misero sorriso. Le sarebbe bastata anche una smorfia di trepidazione.
Invece Giovanni Miege, professore di matematica e illustrissimo insegnante di tennis al club ippodromo, se ne stava lì sul seggiolino in plastica, incurvato, con i gomiti sulle ginocchia, le mani incrociate sotto al mento, gli occhiali da sole con la cordicella intorno al collo e le labbra di cera.
Martina cercò di giustificarlo. Forse era nervoso.
Papà quando è nervoso si chiude, pensò.
Un solo punto e sarebbe esploso di gioia. Anche se, quando si trattava di sua figlia, era sempre piuttosto misurato. Anzi brutale. Sì, papà con lei era brutale.
Si asciugò la fronte con il polsino. Si mise in posizione di battuta. Alzò lo sguardo al cielo. Il sole era ormai allo zenit e i suoi raggi colavano sul rettangolo di gioco.
Fece rimbalzare tre volte la pallina sulla terra rossa, poi si aggiustò i capelli dietro le orecchie.
Era il suo rito prima dei punti decisivi.
Un’occhiata alla Bovina che la fissava saltellando e soffiando sul palmo della mano per asciugare il sudore.
Un servizio esterno sarebbe stata la soluzione migliore. Sul rovescio poco mobile della sua avversaria.
La pallina lanciata verso il sole sembrò infuocarsi e l’impatto della racchetta fu preciso e lievemente liftato.
La Bovina rimase cementata sulla riga di fondo.
“Out!”, gridò la cornacchia sul trespolo.
Martina le sferrò un’occhiata tra l’accusa e la supplica.
L'impietosa cornacchia, dal canto suo, le fece cenno che era fuori di un’unghia.

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