LO PSICOLOGO NON SERVE A NIENTE?
Prima parte
Riccardo
ha sedici anni ma ne dimostra almeno venti. Alto, spalle larghe, occhi verdi e
denti perfettamente allineati. Nella sua classe è una specie di idolo per il
successo che gode tra il pubblico femminile e ora sta con una che ha
addirittura otto anni in più.
Siamo
al terzo colloquio, ormai tra di noi si è instaurato un rapporto di fiducia e
spesso durante l’intervallo mi viene a salutare e mi chiede se ho posto per
lui.
Nel
primo incontro mi racconta, con una certa indifferenza, che i suoi sono separati
da dieci anni, che non vede suo padre da tre perché si è messo con una bulgara
e che ha preferito seguire lei in una città del nord Italia piuttosto che rimanere
vicino ai figli.
Subito
dopo però precisa quasi con disprezzo, “Mica sono qui per parlare di quello lì, è che ultimamente mi sento
nervoso e l’altra sera ho quasi spaccato la faccia a un ragazzo solo perché mi
era sembrato che guardasse la mia morosa... Sono arrivato addirittura a spaventarmi della mia stessa reazione”.
Durante
il secondo colloquio mi conferma questo suo stato di nervosismo tanto che ha
anche litigato di brutto con il
compagno della mamma che a detta sua vuole fare il padre. “Si deve mettere in
quella sua testina di cazzo che lui non è mio padre!”, Riccardo alza la voce e mi fissa con
un’espressione rabbiosa.
Oggi,
appena si siede, noto subito che è più pensieroso e mi sembra che abbia perso
quella sicurezza dei colloqui precedenti.
“Non
so cosa mi sia successo, sarà che da quando vengo qui ragiono di più, ma questa
settimana ho ripensato a quello lì” e
lo dice quasi come si sentisse in colpa.
“Quello lì sarebbe tuo padre o sbaglio?”.
“Proprio
così…” rimane un attimo in silenzio poi fa “Mi è venuto in mente un ricordo e
ti assicuro che di solito quando sto per pensare a quello lì faccio di tutto per scacciare via la sua immagine…
infatti è come se in questi anni lo avessi rimosso e nei miei ricordi ci fosse
un buco nero. Ma questa volta è stato più forte di me”.
“Me
lo vuoi descrivere?”.
“Quando
giocava la Juve, la domenica sera, veniva a casa nostra con le patatine e la
coca cola e ci mettevamo sul divano a guardare la partita. Un giorno poi mi ha
portato la maglia di Del Piero che era il nostro idolo” e sorride forzatamente,
come per evitare di piangere.
“Che
emozione ti dà questo ricordo?”.
Ci
pensa su poi fa, “Nessuna, indifferenza totale”.
“La
tua espressione mi dice altro”.
Allora
Riccardo si lascia andare a un sospiro, “Forse tristezza, forse rabbia, non
riesco a capire”.
“Avresti
voglia di vederlo?” gli chiedo a bruciapelo.
Mi
guarda con un misto di sorpresa e rabbia come se la mia fosse una domanda
sconveniente e forse un po’ stronza.
“Ho voglia di vedere quello lì?”
ripete quasi con disgusto, “Neanche per sogno!”.
Lo
so lo so che vi ho lasciato un po’ in sospeso, ma la prossima volta cercheremo
di capire da dove nasce la rabbia di Riccardo.
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