venerdì 3 aprile 2015

Eccoci alla rubrica del venerdì!


CONSIDERAZIONI NOTTURNE E DINTORNI

 
Ode alle cabine telefoniche. Parte seconda.

 

Vi assicuro che ci hanno messo meno tempo i Greci a conquistare Troia che io a conquistare Marika, una ragazza di quarta ginnasio, mentre io facevo la prima liceo, che mi piaceva da matti.
Infatti dopo che ho impiegato due mesi per rivolgerle la parola, durante un’assemblea d’istituto, e scoprire il suo cognome, ho impiegato un altro mese per estrapolare dall’elenco tre numeri di telefono che potessero corrispondere a quello di casa sua.
Così un pomeriggio mi sono deciso. Ho preso il coraggio a due mani e sono partito per la grande impresa. Ho trafugato un bel po’ di spillatico dal portafoglio di mamma e con zero gradi e la neve che cominciava a scendere mi sono barricato dentro la cabina telefonica.
Ho infilato duecento lire a raffica e digitato il primo numero con il cuore che mi pulsava nelle tempie.
“Pronto!”, è stata una voce femminile a rispondere.
“Buongiorno, c’è Marika?” ho chiesto un po’ intimidito.
“Chiii?” ha fatto la voce dall’altro capo della cornetta.
“Marika” ho risposto più deciso.
“Non compriamo niente noi” e ha riattaccato.
Ho digitato il secondo numero ma non ha risposto nessuno. A quel punto mi rimaneva solo l’ultima cartuccia da sparare.
Dopo un’infinità di squilli, avvilito, ero sul punto di buttare giù quando ho sentito rispondere “Pronto!”.
Era la nonna di Marika che però non capiva chi fossi, anche perché io rimanevo mooolto sul vago, e allora la signora bofonchiando qualche improperio ha passato la cornetta al nonno ma nemmeno lui capiva chi fosse ‘sto amico di scuola quindi alla fine è dovuto intervenire il padre in persona che con la voce impostata mi ha fatto il terzo grado e per poco non mi sottoponeva alla macchina della verità.
Così prima ancora di parlare con Marika avevo conosciuto buona parte del suo albero genealogico.
Comunque Marika ed io quel pomeriggio abbiamo parlato un sacco di tempo e non mi accorgevo nemmeno che i piedi e le mani mi si stavano assiderando. Nel frattempo ho conosciuto anche la sorella grande che esigeva il telefono entro due secondi e la mamma che è entrata in camera ordinando alla figlia di mettere immediatamente giù.
E alla fine quando sono uscito da quella astronavicella rossa con la promessa che ci saremmo visti l’indomani pomeriggio in centro e con le neve che mi scricchiolava sotto le scarpe, mi sentivo invincibile come Ulisse dopo la conquista di Troia.
Ero pronto a partire per la mia Odissea.  

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